Due incontri organizzati da Lìbrati – Libreria delle donne di Padova, CIRSPG Centro Interdipartimentale di Ricerca Studi sulle Politiche di Genere, Associazione Ya Basta – Caminantes e Comitato Locale di Padova Un Ponte Per …
Per informazioni padova@yabasta.it
Coordina gli incontri Ivan Grozny Compasso, autore di Puzzlestan e Kobane Dentro
Mercoledì 26 ottobre 2016 ore 16.30 Aula R Palazzo Wollemborg – Via del Santo, 26 – Padova
Incontro con:
Amani El Nasif
Autrice di Siria Mon Amour Edizioni Piemme
Un matrimonio combinato. La forza della ribellione. Una storia vera
Il libro è stato scritto con Cristina Obber
Partecipa Martina Pignatti Presidente Un ponte per …
Ong presente in Siria e Iraq a sostegno della società civile
VIDEO INCONTRO
Mercoledì 23 novembre ore 16.30 Aula N Palazzo Wollemborg – Via del Santo, 26 – Padova
Incontro con :
Claudia Galal
Autrice di Cairo calling Agenzia X
L’underground in Egitto prima e dopo la rivoluzione
Una scena underground ancora in piena espansione nonostante lo stato di polizia del generale El Sisi. Siamo sicuri che la rivoluzione egiziana è stata definitivamente sconfitta?
Con il contributo di Riccardo Noury Portavoce di Amnesty International – Italia che parlerà degli ultimi sviluppi della vicenda di Giulio Regeni
VIDEO INCONTRO
Siria mon amour di Amani El Nasif, Cristina Obber, Edizioni Piemme
Amani è nata in Siria ma è cresciuta in Italia. Quando compie sedici anni, con una scusa, la madre la porta nel suo paese di origine per qualche giorno. Dopo i primi entusiasmi per un mondo diverso e affascinante, ricco di profumi e sapori nuovi, Amani scopre di essere stata in realtà fidanzata a un cugino, mai conosciuto e mai amato. Le dicono che in Italia non tornerà più. Amani si ribella a quel fidanzamento e a quell’uomo, pagando un prezzo molto alto, in una realtà dura e violenta dove le donne non sono che oggetti sotto la tutela dei maschi. Lontana dalle sue amiche e da Andrea, il suo ragazzo, Amani resisterà e lotterà fino a riprendersi la sua vita.
Il volume è stato scritto con Cristina Obber
Giornalista e scrittrice, si occupa di tematiche legate al mondo femminile. Tra i suoi libri Non lo faccio più che ha dato vita a un progetto scuole e al blog www.nonlofacciopiu.net. Per Piemme ha pubblicato Siria mon amour, scritto con Amani El Nasif e L’altra parte di me.
Recensione
Ha continuato a credere nel suo sogno fissando, di nascosto, lo scontrino della parrucchiera dove si era recata il giorno prima di partire: nelle cifre la sedicenne Amani rivedeva l’Italia, la sua vita e soprattutto la sua libertà. Siamo nel 2006 e la madre della ragazza decide di “regalarle” un viaggio in Siria, dove la stessa Amani è nata, per farle conoscere le sue radici e correggere un errore sul passaporto. All’entusiasmo iniziale per la magia d’Oriente, per tutto il nugolo di parenti con le cugine “piccole, ma già grandi” e all’imbarazzo, comunque divertito, di sentirsi “imbaccuccata come una Befana” sotto il velo e ben tre vestiti per celare il corpo, si sostituiscono una gamma di sentimenti che vanno dall’incredulità alla rabbia feroce. Il viaggio da Bassano al paese di Al Karatz, vicino ad Aleppo, è stato infatti organizzato per il matrimonio combinato di Amani, con un cugino integralista e violento. In una realtà dove tutto ciò che può dare sollievo, o piacere, a una donna è Haram (peccato), come sollevarsi le maniche lavando i piatti o affacciarsi a una finestra, Amani comincia la sua lotta di resistenza. Conoscerà presto le frustate con il berim, la corda che sostiene sul capo degli uomini la kefiah, la violenza psicologica e fisica, fino al ricovero in ospedale, l’intontimento dei tranquillanti. Il padre la sdoganerà dal monopolio dei cugini, ma per cercare di “venderla” al miglior pretendente. Un incubo durato tredici mesi che la scrittura, lucida e scorrevole, ha aiutato a sanare. Un lieto fine a sorpresa e un’irrinunciabile riflessione sulle oltre sessanta milioni di spose bambine nel mondo alle quali il coraggio di Amani ha dato voce.
Di Elena Baroncini per l’Indice
Cairo Calling di Claudia Galal, edizioni AgenziaX
Dalla sparizione e l’omicidio di Giulio Regeni, la realtà quotidiana di violazione dei diritti umani nel paese guidato da Al Sisi, ha iniziato ad essere compresa da molti. Si tratta di una cappa che cerca di soffocare l’intera società egiziana. Una situazione che viene nascosta da un’omertà internazionale complice, dettata dagli interessi che si muovono intorno al possibile ruolo nell’area dell’Egitto. Il governo italiano non è da meno, impegnato a difendere i possibili guadagni del più grande giacimento di gas, scoperto dall’Eni a Zohr.
L’Egitto vero, che oltre le disinllusioni seguite alla rivoluzione di Piazza Tahir, è anche quello che emerge dalle vite delle donne ed uomini intervistati da Claudia Galal. Tra musica, street art, graffiti, scopriamo l’underground del paese dei faraoni. Esperienze pulsanti che cercano la strada per esprimersi anche in una situazione quanto mai asfissiante. I viaggi di Claudia Galal, il suo sguardo tra Italia e Egitto riflettono le speranze, le contraddizioni, la ricerca generazionale che attraversa un’intera generazione tra le due sponde del Mediterraneo.
Nel gennaio 2011 Piazza Tahrir diventava l’ombelico del mondo, il cuore della Primavera Araba e della rivoluzione egiziana. Purtroppo non mi trovavo lì, dove i giovani del Cairo stavano facendo la storia, ma anche a distanza mi rendevo conto della portata epocale di quello che stava succedendo.
Ho iniziato a prendere appunti, a registrare dati, nomi, elementi, a prestare attenzione a volti, immagini, simboli. Non sapevo ancora che cosa ci avrei fatto, ma non volevo perdermi più di quello che mi stavo già perdendo, non essendo là.
Poi sappiamo tutti com’è andata – come sta andando – e negli anni quella massa di annotazioni è diventata un libro, Cairo calling, in uscita il 26 maggio 2016 per Agenzia X. Seguendo le mie passioni, mi sono concentrata soprattutto sull’esplosione e l’evoluzione delle controculture (rock, musica elettronica, rap, street art), che in questi ultimi cinque anni e mezzo sono state inevitabilmente legate alla situazione socio-politica.
Quelle che seguono sono le prime righe di Cairo calling, che comincia dal 25 gennaio 2011 e si chiude con la drammatica uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni, in un necessario e doloroso finale aperto.
«Primi giorni del 2011. Al sicuro, protetta nel guscio della mia metà italiana, seguo con trasporto e preoccupazione quello che succede in Egitto, dov’è nato e cresciuto mio padre e dove affonda una parte delle mie radici. È il 25 gennaio…
All’ora di cena rientro a casa con addosso un’ansia pesante. Durante il giorno ho seguito le notizie dall’Egitto dal computer dell’ufficio, ma fra le mille cose da fare non sono sicura di aver capito qualcosa. Mentre salgo le scale del mio condominio in zona Giambellino, dove gli unici non egiziani sono il mio fidanzato e la famiglia cinese del piano di sotto, si confondono e si sovrappongono voci di telegiornali in arabo e discussioni concitate. A tratti mi sembra tifo da stadio, come se i miei vicini volessero spingere qualcuno verso un’impresa impossibile.
Intanto ricevo qualche messaggio sul mio cellulare obsoleto: “Che casino al Cairo”, “I tuoi stanno bene?”, “Che cazzo state combinando?!”. Ma io non sono lì, purtroppo, e non ho ancora avuto tempo di mettere insieme i pezzi di questa giornata storica.
Entro in casa e, come in quella vecchia canzone, “questa stanza non ha più pareti”, perché distinguo perfettamente i discorsi animati dei ragazzi di fianco, giovani immigrati che tutte le notti si ammazzano di fatica al mercato ortofrutticolo.
Non capisco ogni frase, ma la parola chiave arriva forte e chiara. Rivoluzione!
Senza togliermi nemmeno il cappotto, accendo tv e computer, così seguo contemporaneamente la diretta del telegiornale e il flusso di notizie che emerge dalla rete, dai social network in particolare. Chiamo anche mio padre, abbastanza sconvolto e confuso quanto me, e mi assicura che la nostra famiglia sta bene. […] La rivolta era nell’aria. Nelle ultime settimane continuavano ad arrivare le immagini piene di rabbia, dolore e frustrazione delle rivolte tunisine, mentre qualche voce di protesta, ancora debole e isolata, si sollevava anche in Egitto.
Fino a oggi, 25 gennaio 2011, quando moltissime persone rispondono all’appello della pagina Facebook “We are all Khaled Said”, dedicata al giovane ucciso qualche mese prima dalla polizia di Alessandria in circostanze poco chiare, con l’intenzione di sabotare il National Police Day. Un’ondata di manifestanti si riversa per le strade del Cairo e di Giza, raccogliendosi nella centralissima piazza Tahrir, mentre altre proteste esplodono nelle città del paese, da Suez a Ismailiya, da Alessandria a Mansoura, da Tanta ad Aswan. […]»
Oggi siamo tutti indignati e arrabbiati, giustamente, con l’Egitto. Ma non bisogna commettere l’errore di identificare un popolo con il regime che lo affligge. Le voci del dissenso sono tante e si esprimono in tanti modi diversi, certo non da oggi, ma da anni.
Ho cercato di raccoglierle, molte di queste voci, perché mi chiamavano forte e non potevo far finta di non sentirle. Il risultato è Cairo calling. L’underground in Egitto prima e dopo la rivoluzione (Agenzia X Edizioni).
Tratto da Agenzia X
Claudia Galal
Italoegiziana, nasce a Urbino e studia a Bologna. Oggi vive a Milano, dove lavora nel campo dell’editoria e della comunicazione. Si interessa soprattutto di musica e street art. Ha pubblicato il volume Street Art e ha partecipato alla realizzazione della guida Re/search Milano.