Colombia – Una comunità resistente schiacciata tra le violenze

Lo scorso 14 settembre Germán Graciano Posso, appartenente al Consiglio Interno della Comunidad de Paz de San José de Apartadó, ha ricevuto il premio come Difensore dell’anno “per il suo costante impegno in difesa dei diritti umani in Colombia“. Posso, insieme ad una comunità di oltre 500 persone, ha formato ed organizzato gruppi di lavoro per realizzare un progetto in difesa del territorio ed il miglioramento della vita nella regione colombiana di Antioquia, a nord del paese.
Il titolo che gli è stato donato rappresenta il riconoscimento per il coraggio, la determinazione e la resistenza dimostrata dai difensori e le difensore dei diritti umani all’interno della Comunità di Pace di San José de Apartadó. Una tappa importante in un periodo in cui si contano centinaia di líderes sociali uccisi.

Non sappiamo se domani ci ammazzeranno oppure no, per questo dobbiamo pensare alle scelte di oggi, che saranno la nostra eredità per chi verrà dopo di noi.

Per Posso “questo premio significa appoggio e protezione per la Comunidad. È un riconoscimento al lavoro che quotidianamente svolge questo gruppo che vuole solo vivere in pace e che chiede al Governo colombiano di non continuare a ucciderli o sfollarli”.

La Comunidad de Paz è nata nel 1997 a seguito dell’instabile periodo che la zona di Antioquia viveva all’interno del conflitto civile che vide attivi numerosi attori armati tra cui l’esercito colombiano, i gruppi paramilitari e le Forze Armate Rivoluzionarie (FARC). Dal 1994 moltissime comunità che fino a quel momento avevano vissuto in pace dovettero spostarsi dalla foresta a nord-ovest del Paese.
La gente fu costretta a lasciare quella che poco prima era la propria casa e si trovò di fronte alla necessità di riorganizzarsi in comunità autonome per non venire schiacciata nella guerra civile.
Le stesse comunità chiesero formalmente ai membri di Peace Brigade in Colombia un accompagnamento permanente dichiarando l’out-out dal conflitto. Così facendo scelsero apertamente di non schierarsi e non manifestare appoggio a nessuna delle parti che dagli anni Settanta alimentavano il conflitto colombiano.

Fu sulla scia di questa escalation di violenza che rischiava di demolirla che il 23 marzo 1997, su consiglio di Monsignor Isaías Duarte Cansino, assassinato a Medellìn nel 2002, la comunità di San José de Apartadó si costituì ufficialmente e scrisse il suo manifesto fondativo. Niente cocaina, niente armi, niente guerra, no alla riparazione individuale delle vittime, si alla condivisione della terra e al lavoro collettivo; sono solo alcune delle posizioni prese dagli abitanti della Comunità di Pace che, con la redazione dello statuto, segnarono una rottura netta con le politiche del governo di Álvaro Uribe Vélez.
La zona in cui è situata la Comunidad di cui Germán Graciano fa parte è considerata il migliore posto del Sud America. In un triangolo di terra vicino a Panama, luogo cruciale per i commerci e le attività economiche legali ed illegali della zona, la Comunità vive costantemente nel pericolo di rappresaglie e azioni violente da parte dei diversi attori armati (formalmente e non) in campo. Graciano Posso spiega che per il governo colombiano le comunità resistenti come questa rappresentano il nemico numero uno; la radicalità e la fermezza nelle posizioni hanno da sempre reso queste piccole famiglie di contadini incorruttibili.

Anche e soprattutto per la neutralità rivendicata, nel mese di febbraio del 2005 la comunità subì un violento massacro dove persero la vita Luis Eduardo Guerra, giovane leader della comunità e membro del Consiglio Interno fin dalla nascita di quest’ultimo; la sua compagna diciasettenne Bellanira Areiza Guzmann e suo figlio Deiner Adres Guerra, già ferito da una granata l’11 agosto del 2004. L’azione violenta messa in atto per intimorire la Comunità di Pace portò la firma dell’esercito governativo, come venne denunciato dalla stessa comunità.
Assieme al leader e alla sua famiglia, caddero vittime del massacro anche Alfondo Bolivar Tuberqua Graciano, leader e membro del Consiglio di Pace della zona umanitaria di Mulatos; la sua compagna Sandra Milena Munoz Pozo e i figli Santiago e Natalia di due e sei anni. I militari della Brigada 11, autori materiali del gesto, furono riconosciuti colpevoli, ma i mandanti del violento attacco a colpi di machete sono rimasti impuniti.

A seguito di questo violento assalto da parte del governo per sottomettere la resistenza della Comunidad de Paz, la stessa Corte Interamericana dei Diritti Umani intervenne con diverse misure per garantire la sicurezza ai membri della comunità (medida provisonales). La Corte colombiana, poi, emise una sentenza che ordinava ad Uribe di ritrattare le accuse che lo stesso aveva mosso nei confronti della Comunità di San José, di istituire una Casa di Giustizia per quest’ultima e di avviare delle misure di riparazione collettiva che andassero oltre la semplice erogazione di denaro in cambio del silenzio dei singoli come era avvenuto fino a quel momento.
Le sentenze della Corte caddero però nel silenzio. L’unica risposta messa in atto dal governo fu la messa in scena organizzata dall’ex presidente colombiano Juan Maneul Santos che, nel 2014, ritirò le accuse mosse dal governo di Uribe senza però rapportarsi direttamente con i membri resistenti della comunità, che anzi subirono più di una volta la mancata presenza del Presidente Santos ad eventi istituzionali sul tema della vita della Comunità di Pace.

Ad oggi, spiega Germán Graciano Posso, la comunità vive in un clima di continue minacce. Lui stesso, lo scorso 29 dicembre, ha rischiato di morire in un attentato organizzato da dei paramilitari con l’appoggio dell’esercito e del governo colombiano. Come denuncia in un comunicato la Comunidad il tentato omicidio del rappresentante legale della comunità e difensore dei diritti umani Posso è solo uno dei tanti eventi drammatici che colpiscono la realtà resistente di San José de Apartado.

Sono oltre 375, infatti, le vittime civili uccise in persecuzioni e azioni paramilitari di violenza messe in atto con il supporto del governo per schiacciare la Comunidad de Paz sotto le pressioni esterne.

La tentata uccisione di Graciano Posso, però, è stata un caso assai particolare di attacco alla comunità. La sparatoria fu messa in atto come conseguenza delle dichiarazioni pubbliche e le denunce di Posso alle Nazioni Unite ed in territorio europeo. Era la prima volta che ciò accadeva e questo dimostra il livello di repressione che negli ultimi anni sta subendo la collettività nel territorio libero di San José de Apartado.

Ad un anno dall’attentato il mese di dicembre in arrivo si prospetta pieno di tensioni per la comunità e per il difensore dei diritti umani che viene costantemente seguito dai membri di Operazione Colomba non solo nel territorio di Antioquia, ma in tutto il mondo.
La presenza dei volontari garantisce alla comunità un certo grado di sicurezza visti i progetti di osservazione e monitoraggio del territorio da parte del Corpo Non Violento della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il sostegno però non deve fermarsi a questo, spiega Posso, parlando di quanto sia importante per la Comunidad che la sua situazione dei campesinos, afro e indigeni sia conosciuta in tutto il mondo come esempio di alternativa al potere oppressivo dell’economia globalizzata.

L’unica possibilità per contrastare le continue violenze sta nell’appoggio internazionale alle comunità resistenti e alle loro cause. È importante che la solidarietà straniera si sommi al sostegno pratico in loco delle volontarie e dei volontari, anche per permettere ai difensori dei diritti umani di contare sull’appoggio esterno nel caso in cui questi ultimi avessero la necessità di lasciare il paese per le continue pressioni e minacce.
Proprio in quest’ottica si inserisce il lavoro che qui in Italia sta nascendo tra oltre 30 comuni e associazioni grazie alla nascita della rete In Difesa Diorganizzare un network consolidato che sappia non solo aprire spazi di riflessione sui diritti umani, ma anche mettere in atto vere e proprie azioni dal carattere politico come quella di ospitare le attiviste e gli attivisti dei diritti umani che per questioni di sicurezza e non solo abbiano la necessità di lasciare temporaneamente i luoghi dove sono attivi.

Lo scorso 14 settembre Germán Graciano Posso, appartenente al Consiglio Interno della Comunidad de Paz de San José de Apartadó, ha ricevuto il premio come Difensore dell’anno “per il suo costante impegno in difesa dei diritti umani in Colombia“. Posso, insieme ad una comunità di oltre 500 persone, ha formato ed organizzato gruppi di lavoro per realizzare un progetto in difesa del territorio ed il miglioramento della vita nella regione colombiana di Antioquia, a nord del paese.
Il titolo che gli è stato donato rappresenta il riconoscimento per il coraggio, la determinazione e la resistenza dimostrata dai difensori e le difensore dei diritti umani all’interno della Comunità di Pace di San José de Apartadó. Una tappa importante in un periodo in cui si contano centinaia di líderes sociali uccisi.

Non sappiamo se domani ci ammazzeranno oppure no, per questo dobbiamo pensare alle scelte di oggi, che saranno la nostra eredità per chi verrà dopo di noi.

Per Posso “questo premio significa appoggio e protezione per la Comunidad. È un riconoscimento al lavoro che quotidianamente svolge questo gruppo che vuole solo vivere in pace e che chiede al Governo colombiano di non continuare a ucciderli o sfollarli”.

La Comunidad de Paz è nata nel 1997 a seguito dell’instabile periodo che la zona di Antioquia viveva all’interno del conflitto civile che vide attivi numerosi attori armati tra cui l’esercito colombiano, i gruppi paramilitari e le Forze Armate Rivoluzionarie (FARC). Dal 1994 moltissime comunità che fino a quel momento avevano vissuto in pace dovettero spostarsi dalla foresta a nord-ovest del Paese.
La gente fu costretta a lasciare quella che poco prima era la propria casa e si trovò di fronte alla necessità di riorganizzarsi in comunità autonome per non venire schiacciata nella guerra civile.
Le stesse comunità chiesero formalmente ai membri di Peace Brigade in Colombia un accompagnamento permanente dichiarando l’out-out dal conflitto. Così facendo scelsero apertamente di non schierarsi e non manifestare appoggio a nessuna delle parti che dagli anni Settanta alimentavano il conflitto colombiano.

Fu sulla scia di questa escalation di violenza che rischiava di demolirla che il 23 marzo 1997, su consiglio di Monsignor Isaías Duarte Cansino, assassinato a Medellìn nel 2002, la comunità di San José de Apartadó si costituì ufficialmente e scrisse il suo manifesto fondativo. Niente cocaina, niente armi, niente guerra, no alla riparazione individuale delle vittime, si alla condivisione della terra e al lavoro collettivo; sono solo alcune delle posizioni prese dagli abitanti della Comunità di Pace che, con la redazione dello statuto, segnarono una rottura netta con le politiche del governo di Álvaro Uribe Vélez.
La zona in cui è situata la Comunidad di cui Germán Graciano fa parte è considerata il migliore posto del Sud America. In un triangolo di terra vicino a Panama, luogo cruciale per i commerci e le attività economiche legali ed illegali della zona, la Comunità vive costantemente nel pericolo di rappresaglie e azioni violente da parte dei diversi attori armati (formalmente e non) in campo. Graciano Posso spiega che per il governo colombiano le comunità resistenti come questa rappresentano il nemico numero uno; la radicalità e la fermezza nelle posizioni hanno da sempre reso queste piccole famiglie di contadini incorruttibili.

Anche e soprattutto per la neutralità rivendicata, nel mese di febbraio del 2005 la comunità subì un violento massacro dove persero la vita Luis Eduardo Guerra, giovane leader della comunità e membro del Consiglio Interno fin dalla nascita di quest’ultimo; la sua compagna diciasettenne Bellanira Areiza Guzmann e suo figlio Deiner Adres Guerra, già ferito da una granata l’11 agosto del 2004. L’azione violenta messa in atto per intimorire la Comunità di Pace portò la firma dell’esercito governativo, come venne denunciato dalla stessa comunità.
Assieme al leader e alla sua famiglia, caddero vittime del massacro anche Alfondo Bolivar Tuberqua Graciano, leader e membro del Consiglio di Pace della zona umanitaria di Mulatos; la sua compagna Sandra Milena Munoz Pozo e i figli Santiago e Natalia di due e sei anni. I militari della Brigada 11, autori materiali del gesto, furono riconosciuti colpevoli, ma i mandanti del violento attacco a colpi di machete sono rimasti impuniti.

A seguito di questo violento assalto da parte del governo per sottomettere la resistenza della Comunidad de Paz, la stessa Corte Interamericana dei Diritti Umani intervenne con diverse misure per garantire la sicurezza ai membri della comunità (medida provisonales). La Corte colombiana, poi, emise una sentenza che ordinava ad Uribe di ritrattare le accuse che lo stesso aveva mosso nei confronti della Comunità di San José, di istituire una Casa di Giustizia per quest’ultima e di avviare delle misure di riparazione collettiva che andassero oltre la semplice erogazione di denaro in cambio del silenzio dei singoli come era avvenuto fino a quel momento.
Le sentenze della Corte caddero però nel silenzio. L’unica risposta messa in atto dal governo fu la messa in scena organizzata dall’ex presidente colombiano Juan Maneul Santos che, nel 2014, ritirò le accuse mosse dal governo di Uribe senza però rapportarsi direttamente con i membri resistenti della comunità, che anzi subirono più di una volta la mancata presenza del Presidente Santos ad eventi istituzionali sul tema della vita della Comunità di Pace.

Ad oggi, spiega Germán Graciano Posso, la comunità vive in un clima di continue minacce. Lui stesso, lo scorso 29 dicembre, ha rischiato di morire in un attentato organizzato da dei paramilitari con l’appoggio dell’esercito e del governo colombiano. Come denuncia in un comunicato la Comunidad il tentato omicidio del rappresentante legale della comunità e difensore dei diritti umani Posso è solo uno dei tanti eventi drammatici che colpiscono la realtà resistente di San José de Apartado.

Sono oltre 375, infatti, le vittime civili uccise in persecuzioni e azioni paramilitari di violenza messe in atto con il supporto del governo per schiacciare la Comunidad de Paz sotto le pressioni esterne.

La tentata uccisione di Graciano Posso, però, è stata un caso assai particolare di attacco alla comunità. La sparatoria fu messa in atto come conseguenza delle dichiarazioni pubbliche e le denunce di Posso alle Nazioni Unite ed in territorio europeo. Era la prima volta che ciò accadeva e questo dimostra il livello di repressione che negli ultimi anni sta subendo la collettività nel territorio libero di San José de Apartado.

Ad un anno dall’attentato il mese di dicembre in arrivo si prospetta pieno di tensioni per la comunità e per il difensore dei diritti umani che viene costantemente seguito dai membri di Operazione Colomba non solo nel territorio di Antioquia, ma in tutto il mondo.
La presenza dei volontari garantisce alla comunità un certo grado di sicurezza visti i progetti di osservazione e monitoraggio del territorio da parte del Corpo Non Violento della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il sostegno però non deve fermarsi a questo, spiega Posso, parlando di quanto sia importante per la Comunidad che la sua situazione dei campesinos, afro e indigeni sia conosciuta in tutto il mondo come esempio di alternativa al potere oppressivo dell’economia globalizzata. L’unica possibilità per contrastare le continue violenze sta nell’appoggio internazionale alle comunità resistenti e alle loro cause. È importante che la solidarietà straniera si sommi al sostegno pratico in loco delle volontarie e dei volontari, anche per permettere ai difensori dei diritti umani di contare sull’appoggio esterno nel caso in cui questi ultimi avessero la necessità di lasciare il paese per le continue pressioni e minacce.
Proprio in quest’ottica si inserisce il lavoro che qui in Italia sta nascendo tra oltre 30 comuni e associazioni grazie alla nascita della rete In Difesa Di: organizzare un network consolidato che sappia non solo aprire spazi di riflessione sui diritti umani, ma anche mettere in atto vere e proprie azioni dal carattere politico come quella di ospitare le attiviste e gli attivisti dei diritti umani che per questioni di sicurezza e non solo abbiano la necessità di lasciare temporaneamente i luoghi dove sono attivi.


Pubblicato

in

da