Da alcuni mesi si parla in Italia dell’inquinamento da Pfas, il composto di perfluoroalchilici, usato per trent’anni ed ancor oggi per Teflon, Goretex, cartone per alimenti ed allegramente sversato nei fiumi del Veneto dalla Mitemi, con il conseguente dilagante inquinamento delle falde. La vicenda viene riassunta dal giornalista Ivany Grozny in un pezzo per Articolo 21 e un reportage per repubblica.it.
Quel che ci interessa raccontare è la versione a stelle e strisce della stessa vicenda.
Un viaggio in quel che è successo in America serve a farci riflettere su due impostazioni in teoria diverse intorno ai temi ambientali che mostrano entrambe i loro lati negativi.
Una riflessione utile nel momento in cui accordi come il TTIP porterebbero all’integrazione dei rispettivi mercati.
Da noi in Europa dovrebbe vigere il principio di precauzione: non si usa qualcosa che può essere pericoloso. Salvo poi non restringere le maglie di quel che viene definito pericoloso e il caso del Pfas è emblematico.
In America vige la logica che si può usare qualcosa fino a quando non si dimostra che fa male. Salvo poi ritrovarsi a rimborsare a suon di dollari chi è stato vittima dell’utilizzo e piangere sul “latte versato”.
Si potrebbe dissertare su quale dei due sistemi è il migliore, su come in America funzioni la classa ction, che dà ai cittadini la possibilità di mettere in ginocchio chi inquina, su come in Europa i controlli preventivi siano più adeguati .. ma alla fine resta una domanda per tutti.
O prima o dopo? Non è forse il caso di dire mai!
Lavorazioni, produzioni, impianti nascono per incentivare in maniera incessante lo sviluppo non importa a che prezzo e di cosa. Ed allora interrogarsi su cosa, perchè, come si produce resta, certo la strada più lunga ed impervia, ma l’unica
Vi proponiamo alcune note ed un articolo del New York Times dedicato a Rob Billot, l’avvocato che ha fatto causa alla Dupont. Una storia che sembra la sceneggiatura di un film ma che è realtà.
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con A Sud – Veneto e le studentesse dell’Istituto Scarcerle di Padova
Nel 1951, la legge degli Stati Uniti non richiedeva ai produttori di sostanze chimiche di presentare informazioni riguardanti la sicurezza per l’ambiente e la salute umana prima della loro commercializzazione. Dopo l’emanazione del Toxics Substances Control Act (TSCA) da parte del Congresso nel 1976, oltre 63.000 sostanze chimiche, tra cui il PFOA, ricevettero l’autorizzazione alla commercializzazione “in bianco” per l’uso in prodotti di consumo e industriali, imponendo l’obbligo, però, di dare tempestiva comunicazione alle autorità qualora gli industriali fossero venuti in possesso di informazioni che soltanto facessero sospettare la pericolosità delle sostanze chimiche da loro prodotte.
L’inizio
L’acido perfluoroottanoico ha iniziato ad essere rilasciato nell’ambiente, sia mediante emissione nell’aria atmosferica che mediante scarichi nei fiumi.
I campionamenti effettuati in seguito su centinaia di pozzi privati e fonti pubbliche hanno dimostrato che, persino dopo la drastica riduzione dell’immissione da parte degli impianti chimici, la contaminazione delle acque potabili da parte dell’acido perfluoroottanoico persisteva e continuava ad aumentare negli anni in alcuni distretti situati in prossimità delle fabbriche.
La Dupont sapeva
Nei 10-20 anni seguenti alla sua introduzione nei processi di produzione la Dupont aveva avuto dei dati che indicavano come il PFOA si accumuli nel sangue umano, non si distrugga facilmente nell’ambiente, e possa causare gravi problemi di salute, tra cui danni al fegato , difetti di riproduzione e dello sviluppo del feto, e diversi tipi di tumori.
Il PFOA è stato individuato in una elevata percentuale di campioni di sangue umano e di polvere di casa prelevati in numerose case nel Massachusetts, nel Maine, a New York, in Oregon e in California, e ha contaminato l’acqua potabile in alcune comunità nella Virginia dell’est e in Minnesota.
DuPont e 3M, pur conoscendo questi allarmanti dati non hanno avvisato la US Environmental Protection Agency (EPA), come prevede il TSCA.
Ora si sa
Con le class action portate avanti contro la Dupont la verità è venuta a galla.
A partire dal 2005, numerosi studi epidemiologici sulle popolazioni che avevano bevuto per anni le acque avvelenate dalla DuPont hanno dimostrato la presenza di numerose patologie: cancro del rene, del testicolo, della prostata e di linfomi, alterazioni della funzione della tiroide, casi di infertilità femminile, casi di disfunzione del sistema immunitario nei bambini, aumento della pressione arteriosa e dell’omocisteina (una sostanza che favorisce l’aterosclerosi e le trombosi). È stata inoltra evidenziata una riduzione del numero e della qualità degli spermatozoi negli uomini adulti, soprattutto in quelli che erano stati esposti ad elevati livelli di PFOA durante la loro permanenza nell’utero materno nei nove mesi di vita pre-natali.
Il dato più preoccupante emerso da questi studi è che il rischio di contrarre una o più patologie nella vita adulta è maggiore negli uomini e nelle donne che durante il loro periodo di vita intra-uterina sono stati esposti ad elevati livelli di PFAA presenti nel sangue della loro madre. E’ come se questi adulti fossero nati già programmati, predestinati a contrarre in seguito, anche a distanza di decenni dalla nascita, una o più delle tante malattie causate dai distruttori endocrini.
L’avvocato che è diventato il peggior incubo di Dupont
Rob Bilott era stato un avvocato che aveva difeso le aziende per otto anni.
Poi ha indossato i panni dell’ambientalista, sconvolgendo la sua carriera e svelando una storia pluridecennale di inquinamento chimico.
di Nathaniel Rich
Era solo da pochi mesi che Rob Billot era arrivato allo studio Taft Stettinius e Hollister, quando ricevette una chiamata da una fattoria.
L’allevatore, Wilbur Tennant di Parkersburg, W.Va., raccontava che le sue mucche stavano morendo ad una ad una. Credeva che la compagnia chimica DuPont, che da poco lavorava in un terreno a Parkersburg, 35 volte più grande del Pentagono, fosse responsabile. Tennant aveva cercato aiuto in quella zona, disse, ma la DuPont possedeva l’intera città. Era stato respinto non solo dagli avvocati di Parkersburg, ma anche dai politici, giornalisti, dottori e veterinari del posto. L’allevatore era arrabbiato e parlava con un forte accento degli Appalachi. Billot si sforzava di dare un senso a tutto ciò che gli stava dicendo.
Molto probabilmente gli avrebbe chiuso il telefono in faccia se Tennant non avesse fatto il nome della nonna di Billot, Alma Holland White.
La signora White aveva vissuto a Vienna, nella periferia a nord di Parkersburg, e in estate da bambino, Billot spesso la andava a visitare. Nel 1973 lei gli fece visitare la fattoria di bestiame appartenente ai vicini dei Tennant, i Grahams, con i quali la signora White era amica. Billot passava i weekend a cavalcare, a mungere e a guardare “Secretariat win the Triple Crown”. Aveva 7 anni. La visita alla fattoria dei Grahams era uno dei ricordi più felici della sua infanzia.
Nel 1998, quando i Grahams sentirono che Wilbur Tennant stava cercando un aiuto legale, ricordarono Billot, il nipote della signora White, che era cresciuto e diventato un avvocato ambientale.
Non avevano capito, comunque, che Billot non era il tipo giusto. Non rappresentava i querelanti o i cittadini privati. Come gli altri 200 avvocati della Taft, società fondata nel 1885 e legata storicamente alla famiglia del presidente William Howard Taft, Bilott lavorava quasi esclusivamente per grandi clienti aziendali.
La sua specialità era difendere le aziende chimiche. Bilott aveva lavorato diverse volte con gli avvocati della DuPont. Tuttavia, per fare un favore alla nonna, accettò di incontrare l’allevatore. “Mi sembrava la cosa giusta da fare”, dice oggi. “Sentivo come se ci fosse un legame con la gente di quel luogo”.
Fin dal primo incontro non c’era niente di scontato. Circa una settimana dopo la telefonata, Tennant insieme alla moglie andò fino alla sede centrale della Taft nel centro di Cincinnati. Trasportarono dalla reception fino al 18esimo piano scatole di cartone contenenti videocassette, fotografie.
Si sedettero su moderni divani sotto un ritratto ad olio di uno dei fondatori di Taft. Tennant, robusto, alto circa un metro e ottanta, con un paio di jeans, una maglietta di flanella scozzese e un cappello da baseball, non sembrava il tipico cliente della Taft. “Non si è certo presentato ai nostri uffici come un vice direttore di banca” afferma Thomas Terp, socio supervisore di Billot.
Terp si unì a Bilott per l’incontro. Wilbur Tennant spiegò che insieme ai suoi quattro fratelli si era occupato della fattoria di bovini da quando il padre li aveva abbandonati da bambini. A quel tempo avevano sette mucche. Negli anni continuarono ad acquistare terreni e bestiame, fino a raggiungere il numero di duecento mucche su più di 600 acri di terreno. La proprietà avrebbe potuto essere più grande se solo il fratello Jim e la rispettiva moglie Della, non avessero venduto 66 acri alla Dupont all’inizio degli anni ’80. La compagnia voleva utilizzare la zona come discarica per i rifiuti della fabbrica vicino a Parkersburg, chiamata Washington Works, dove Jim era stato assunto come lavoratore. Jim e Della non volevano vendere, ma a causa di problemi di salute di Jim, a cui i dottori non riuscivano a trovare una diagnosi, furono costretti a cambiare idea.
DuPont ribattezzò la zona Dry Run Landfill, come il ruscello che scorreva dove i Tennants facevano pascolare le loro vacche. Non molto tempo dopo la vendita, Wilbur disse a Bilott che il bestiame cominciava a comportarsi in modo strano. I Tennants consideravano le loro mucche come animali domestici.
Wilbur fornì alcune videocassette: il filmato era sgranato e rovinato con alcune interferenze. Le immagini scomparivano e si ripetevano, il suono accelerava e diminuiva, mentre la qualità era come quella di un film horror. Nella scena iniziale la telecamera offriva una panoramica lungo il ruscello. Venivano riprese anche le foreste circostanti, i frassini che perdono le foglie e lo scrosciare delle acque del ruscello, prima di soffermarsi su quello che sembra essere un cumolo di neve. La telecamera ingrandisce e si capisce che è un accumulo di schiuma.
“Ho trovato due cervi e due bovini morti” affermò Tennant.
“Usciva sangue dal naso e dalla bocca…stanno provando a coprire questa cosa. Ma non ci riusciranno, perché farò emergere la verità, così che le persone possano vedere con i propri occhi.”
Il video mostrava un largo condotto nel ruscello, dal quale fuoriesciva acqua color verde che forma delle bolle in superficie. “Questo è ciò che si aspettano che il bestiame beva”, disse Wilbur “ è proprio ora che qualcuno del dipartimento di Stato tiri fuori gli attributi”
Ad un certo punto il video mostrava una vacca rossa che stava perdendo pelo con la schiena. Un risultato supponeva Wilbur di un malfunzionamento dei reni. Poi il primo piano di un vitello morto, disteso sulla neve, con occhi brillanti.
“Ho perso centocinquantatre di questi animali in questa fattoria”, disse Wilbur dopo il video. “Tutti i veterinari che ho chiamato a Parkersburg, non mi hanno richiamato o non volevano essere coinvolti. Siccome non vogliono essere coinvolti, dovrò analizzare la cosa per conto mio…”
Il video mostra la testa di un vitello divisa in due. Un primo piano mostra i denti anneriti, (dovuti all’alta concentrazione di fluoruro nell’acqua che bevono), il fegato, il cuore, lo stomaco, i reni e la bile dell’animale. Ogni organo è stato sezionato e Wilbur descriveva il loro colore e cosistenza insolita. “Non ho mai visto niente di simile prima” disse.
Bilott guardò il video e le fotografie per diverse ore. Vide mucche con la coda spelacchiata, zoccoli deformati, pelle lesionata, occhi incavati e rossi, vacche che soffrivano diarrea, che rigettavano una bava dalla consistenza simile a quella del dentifricio, e che barcollavano, come ubriache, a causa delle gambe storte. Tennant si soffermò sugli occhi della mucca. “Questa mucca ha sofferto molto” disse.
“Tutto questo non è certo un buon segno” disse Bilott tra sé e sé. “Sta succedendo qualcosa di grave”.
Bilott decise subito di occuparsi del caso di Tennant.
“Era la cosa giusta da fare”. Bilott avrebbe potuto avere l’aspetto di un abile avvocato aziendale – pacato, carnagione chiara, e abbigliamento adeguato – ma questo impiego non gli veniva naturale. Non aveva il tipico curriculum della Taft. Lui non aveva frequentato il college e la scuola di legge a Ivy League. Suo padre era un lungo tenente colonnello dell’aereonautica militare. Bilott aveva passato gran parte della sua infanzia a trasferirsi nelle vari basi aeree, frequentato otto scuole prima di laurearsi nella scuola di Fairborn, vicino alla base militare Wright-Patterson di Ohio. Da ragazzo aveva ricevuto una lettera di assunzione da parte di una piccola scuola di arti liberali in Sarasota chiamata New College della Florida, che permetteva agli studenti di progettare il loro curriculum. Molti dei suoi amici erano idealisti, progressisti con ideologie contrastanti a quelle di Reagan. Discuteva con i professori e aveva imparato a valorizzare il pensiero critico. “Ho imparato a mettere in discussione tutto quello che si legge e ha non prendere niente per quello che sembra. Non importa che cosa dice la gente. Mi piaceva quella filosofia.”
Bilott si laurea in Scienze politiche, sperava di diventare manager della città.
Ma suo padre, che in tarda età si era iscritto a Legge, incoraggiò Bilott a seguire la sua strada. Sorprendendo i professori, scelse di frequentare Giurisprudenza nello stato dell’Ohio, dove vi era il suo corso preferito, ossia diritto dell’ambiente.
“Sembrava potesse avere un impatto reale nel mondo, era qualcosa che avrebbe potuto fare la differenza”.
Quando, dopo la laurea, la Taft gli fece un’offerta, i suoi mentori e i suoi amici del New College inorridirono. Non capivano come avrebbe potuto far parte di una società di quel tipo. Bilott non la vedeva in quel modo. Non aveva realmente pensato all’etica.
“La mia famiglia disse che una grande società era il luogo dove avrei avuto maggiori opportunità, ho semplicemente provato a ottenere il miglior lavoro che potessi permettermi. Non avevo la benché minima idea di ciò che avrebbe comportato”.
Presso la Taft, chiese di essere inserito nella squadra ambientale di Thomas Terp. Dieci anni prima, il Congresso aveva fatto passare la legge conosciuta come Superfund, che finanziava lo smaltimento di scorie e rifiuti pericolosi. Superfund era uno sviluppo redditizio per società come la Taft. Creava un intero micro settore interno al diritto dell’ambiente, che richiedeva una conoscenza approfondita delle nuove normative, in modo da guidare le negoziazioni tra le agenzie comunali ed numerosi enti privati. Il gruppo di Terp alla Taft era un leader del settore.
Come socio, a Bilott fu chiesto di determinare quali compagnie contribuivano alla dispersione di tossine e scarti pericolosi, in che quantità e in quali aree. Raccolse le deposizioni dei dipendenti degli impianti, lesse accuratamente i documenti pubblici e riorganizzò i dati storici. Divenne un esperto del quadro regolatore dell’organizzazione sulla protezione dell’ambiente e delle varie leggi ambientali riguardanti l’acqua potabile, l’aria incontaminata e il controllo delle sostanze tossiche. Si specializzò sulla chimica delle sostanze inquinanti, nonostante la chimica non fosse mai stata il suo punto forte.
“Ho imparato come lavorano queste aziende, come funzionano le leggi, come difendere questi diritti”, disse. Divenne il perfetto insider.
Bilott era fiero del lavoro che conduceva. L’incarico principale che gli era stato affidato, era quello di aiutare i clienti ad attenersi alle nuove norme. Molti dei suoi clienti, inclusi Thiokol e Bee Chemical, disperdevano rifiuti pericolosi da prima che la pratica diventasse così strettamente controllata.
Un collega della squadra ambientale della Taft, lo presentò ad un’amica d’infanzia, Sarah Barrage, anche lei avvocato. Lavorava presso un’altra società del centro di Cincinnati, nella quale difendeva le imprese contro le richieste di risarcimento dei lavoratori. Bilott invitò i due amici per pranzo. Fin da subito Sarah pensò che Bilott non fosse come gli altri ragazzi. “Io sono abbastanza chiacchierona. Lui è più tranquillo. Ci completiamo a vicenda.”
Si sposarono nel 1996. Il primo dei loro tre figli nacque due anni dopo. Il lavoro alla Taft era così tranquillo che la moglie abbandonò il lavoro per crescere i figli a tempo pieno. Terp, il suo supervisore lo ricorda come “uno straordinario avvocato: incredibilmente brillante, energico, tenace e molto, molto scrupoloso.” Era un modello per gli avvocati della Taft”. Poi arrivò Wilbur Tennant.
Il caso Tennant mise la Taft in una posizione scomoda. Lo studio legale lavorava per rappresentare le industrie chimiche non per farle causa.
“L’idea di far causa alla DuPont ci costrinse a prendere una pausa” dice Terp, ”ma in realtà non fu così difficile prendere tale decisione. Sono fermamente convinto che il nostro lavoro dalla parte del querelante ci renda degli avvocati difensori migliori.”
Bilott chiese aiuto per il caso Tennant ad un avvocato del West-Virginia chiamato Larry Winter. Per molti anni Winter fu partner presso la Spilman,Thomas & Battle, una delle ditte che rappresentava la DuPont nel West- Virginia. Era sorpreso che Bilott citasse in giudizio la DuPont mentre rimaneva alla Taft.
Bilott, dal canto suo è riluttante a discutere le motivazioni che l’hanno portato ad assumere il caso. Dice d’aver elaborato la sua scelta come un’occasione “di fare la differenza” nel mondo, dopo i dubbi che gli erano venuti sul percorso che stava prendendo la sua carriera.
“C’era una ragione se ero interessato ad aiutare i Tennant” dice dopo una pausa “era una grande opportunità quella di usare la mia formazione per persone che ne avevano bisogno.”
Bilott presentò la causa federale contro la DuPont nell’estate del 1999 nel distretto del Sud-West della Virginia.
In risposta, l’avvocato della DuPont, Bernard Reilly, lo informò che la DuPont e l’E.P.A avrebbero condotto uno studio sulla proprietà, seguito da tre veterinari scelti dalla DuPont e tre scelti dall’E.P.A.
Il report si concluse affermando che la DuPont non era colpevole dei problemi di salute del bestiame. Il responsabile, invece, era l’allevamento: “scarsa nutrizione, inadeguate cure veterinarie, mancanza di funzionalità”. In altre parole i Tennant non sapevano come far crescere il proprio bestiame. Se le mucche stavano morendo, era solo colpa loro.
La decisione non andava certo bene per i Tennant, i quali iniziarono a subirne le conseguenze. Si inimicarono gli impiegati di Parkersburg. Chi lavorava alla DuPont, anche se prima erano loro amici, adesso li ignoravano, uscivano dai ristoranti quando loro entravano. “Non sono autorizzato a parlare con te” dicevano, quando si incrociavano. Per quattro volte i Tennant cambiarono chiesa.
Wilbur chiamò l’ufficio vicino ogni giorno, ma Bilott aveva poco da dirgli. Stava facendo per i Tennant ciò che avrebbe fatto per qualsiasi altro cliente aziendale – ritirare permessi, studiare gli atti del territorio e richiedere alla DuPont tutta la documentazione relativa alla discarica “Dry Run” ma non poteva trovare alcuna prova che spiegasse che cosa stesse succedendo al bestiame. “Eravamo frustati” dicee Bilott ”non potevo biasimare i Tennant per essersi arrabbiati”.
Con il processo imminente, Bilott si imbatté in una lettera che la DuPont aveva mandato all’E.P.A, nella quale menzionava la presenza di una sostanza nella discarica con un nome criptato: PFOA.
In tutti i suoi anni di lavoro con le industrie chimiche, Bilott non aveva mai sentito parlare del PFOA. Non appariva in nessuna lista di materiali regolamentati, né si poteva trovare nella libreria della Taft. L’esperto chimico assunto per il caso, riprese un articolo di una rivista riguardante un simile composto: PFOS, un agente-detergente usato dalla tecnologia conglomerata 3M nella fabbricazione di protezione spray. Bilott cercò attraverso i suoi file altri riferimenti al PFOA, che scoprì essere una sintesi di acido perfluoroottanoico. Ma non trovò nulla. Allora chiese alla DuPont di mostrare tutta la documentazione riguardante la sostanza. La DuPont si rifiutò.
Nell’autunno del 2000, Bilott richiese un’ingiunzione per forzarli.
L’ordine fu concesso nonostante le proteste della DuPont.
Iniziarono ad arrivare dozzine di scatole contenenti migliaia di documenti al quartier generale della Taft: corrispondenze private interne, resoconti medici e sanitari oltre che studi segreti condotti dagli specialisti della DuPont.
C’erano più di 110.000 pagine in tutto, di cui alcune risalenti a cinquant’anni prima. Bilott trascorse i mesi successivi sul pavimento del suo ufficio, revisionando i documenti e ordinandoli cronologicamente.
Si fermava unicamente per rispondere al telefono.
“Ho cominciato a ricostruire la cronologia degli eventi” dice Bilott.
“Avrei davvero potuto essere il primo a imbattermi in tutto questo. Diventò evidente ciò che stava venendo a galla: sapevano già da molto tempo che quella sostanza era dannosa”.
Bilott non poteva credere alla portata di materiale incriminante che la DuPont gli aveva spedito. La compagnia sembrava non aver realizzato ciò che gli era stato consegnato. “Non riuscivo a credere a ciò che stavo leggendo” dice “È davvero stato messo per iscritto. E’ il genere di situazione di cui si sente sempre parlare, ma non si immagina mai che possa accadere veramente.”
La storia comincia nel 1951, quando la DuPont iniziò ad acquistare PFOA (che la compagnia descrisse come C8) da 3M per utilizzarlo nella fabbricazione di Teflon.
3M aveva inventato il PFOA soltanto 4 anni prima; veniva utilizzato per fabbricare rivestimenti come il Teflon. Nonostante il PFOA non fosse classificato dal governo come una sostanza pericolosa, 3M inviò alcune raccomandazioni alla DuPont su come disporre di esso.
Le istruzioni della stessa DuPont specificavano che il PFOA non poteva essere scaricato sulla superficie delle acque o nelle fogne.
Ma nei decenni che seguirono, la DuPont scaricò tonnellate di polveri di PFOA attraverso le bocche di scarico delle tubazioni di Parkersburg, nel fiume Ohio.
La compagnia sversò 7.100 tonnellate di PFOA liquido negli “stagni digestivi”: pozzi aperti di proprietà della Washington Works, da cui le sostanze chimiche filtravano direttamente nel terreno. La PFOA entrò direttamente nella falda acquifera locale, che forniva acqua potabile alle comunità di Parkersburg, Vienna, Little Hocking e Lubeck – più di 100.000 persone in tutto.
Bilott apprese dai documenti che la 3M e la DuPont avevano condotto studi medici segreti sul PFOA per più di quarant’anni.
Nel 1961, i ricercatori della DuPont avevano scoperto che le sostanze chimiche potevano aumentare le dimensioni dei fegati nei ratti e nei conigli. Un anno dopo riconfermarono i medesimi risultati negli studi con i cani. La struttura chimica peculiare del PFOA lo rende misteriosamente resistente alla decomposizione. Esso si lega anche alle proteine plasmatiche nel sangue, circolando così attraverso ogni organo del corpo.
Nel 1970, la DuPont scoprì che c’era un’alta concentrazione di PFOA nel sangue di un operaio della Washington Works. Non lo disse all’ E.P.A.
Nel 1981, la 3M – ancora fornitore di PFOA della DuPont e altre industrie – trovò delle prove che la sostanza causava difetti di nascita nei ratti. Dopo che la 3M condivise quest’informazione, la DuPont verificò lo stato di salute delle dipendenti in stato di gravidanza a stretto contatto con il Teflon. Su sette nascite, si verificarono due casi di problemi alla vista. DuPont non rese pubblica quest’informazione.
Nel 1984, DuPont si rese conto che le polveri provenivano dai camini delle fabbriche anche al di fuori della loro proprietà e cosa ancor più sconvolgente che nelle locali falde acquifere era presente PFOA. La DuPont si rifiutò di rivelare quest’informazione.
Nel 1991, gli scienziati della DuPont stabilirono un limite di sicurezza interna per la concentrazione di PFOA nell’acqua potabile: una parte per miliardo. Lo stesso anno, DuPont scoprì che l’acqua in un distretto locale conteneva livelli di PFOA tre volte superiori alla cifra stabilita. nonostante le discussioni interne, decise di non rendere pubblica l’informazione.
(In una dichiarazione, DuPont sostenne che diede in modo volontario informazioni alla E.P.A durante quei decenni. Quando vennero chieste delle prove, inviò due lettere mandate alle agenzie governative del West Virginia nel periodo dal 1982 al 1992,che citavano studi interni riguardanti l’esposizione al PFOA e relative conseguenze sulla salute umana).
Negli anni 90 la DuPont vide con studi effettuati in laboratori animali che il PFOA era causa di cancri ai testicoli, tumori al pancreas e fegato. Uno studio di laboratorio suggerì un possibile danno al DNA dall’esposizione al PFOA e un altro studio lo collegò al cancro alla prostata.
La DuPont alla fine si affrettò a trovare un’alternativa al PFOA. Una comunicazione interna inviata nel 1993 annuncia, per la prima volta, che si è trovata una sostanza valida meno tossica e smaltibile dal corpo in minor tempo. Ci furono varie discussioni interne sul nuovo composto nella sede aziendale della DuPont, che però si oppose all’utilizzo della nuova sostanza. Il rischio era troppo grande: prodotti artigianali con PFOA erano un’importante parte degli affari della DuPont, vale a dire 1 miliardo di dollari di fatturato.
Ma la scoperta cruciale per il caso Tennant fu questa: dalla fine del 1980 la DuPont decise di trovare un metodo di smaltimento delle sostanze tossiche.
Fortunatamente avevano recentemente comprato 66 acri da un impiegato di basso livello presso la Washington Words, una struttura che faceva perfettamente al caso loro. A partire dal 1990, la DuPont scaricò 7100 tonnellate di liquame di PFOA nel Dry Run Creek. Gli specialisti della DuPont sapevano dello smaltimento drenato nella proprietà dei Tennant, e testarono l’acqua nel Dry Run Creek. Conteneva un’elevata concentrazione di PFOA. A quel tempo la DuPont non lo rivelò ai Tennant, nè lo rivelò il report che venne commissionato per il caso Tennant dieci anni dopo – quello che incolpava l’allevatore per la morte delle sue mucche.
Bilott ottenne ciò di cui aveva bisogno. Nell’agosto del 2000 Bilott chiamò l’avvocato della DuPont Bernard Reilly e spiegò che sapeva quello che stava accadendo. Fu una breve conversazione alla fine della quale i Tennant avrebbero dovuto perdere. L’azienda, eventualmente, avrebbe ricevuto una sanzione. L’intera questione si sarebbe conclusa così. Ma Bilott non era soddisfatto.
“Ero irritato” dice. DuPont non era niente in confronto alle aziende che aveva rappresentato alla Taft nel caso Superfud.
“Questo era uno scenario completamente diverso, DuPont aveva cercato da dieci anni di tenere segrete le proprie azioni”.
Sapevano che quelle sostanze erano nocive ma le avevano rilasciate nell’acqua lo stesso.
“E’ una cosa terribile”.
Billot aveva visto cosa aveva causato la contaminazione di PFOA nell’acqua potabile al bestiame. Cosa stava facendo a decine di migliaia di persone nelle aree attorno a Parkersburg che bevevano quotidianamente dai loro rubinetti?
Bilott spese i mesi successivi scrivendo una lettera pubblica contro la DuPont.
Era lunga 972 pagine con 136 prove allegate.
I suoi colleghi la chiamano “La famosa lettera di Rob”.
“Noi abbiamo le conferme che le sostanze chimiche e inquinanti disperse nell’ambiente dalla DuPont nella discarica “ Dryrun” e nelle strutture vicine di loro proprietà possono creare un’ imminente e sostanziale minaccia all’ambiente ed alla salute” scrisse Bilott. Esigeva un’azione immediata per riuscire a regolamentare la concentrazione di PFOA e provvedere alla purificazione dell’acqua per coloro che vivevano nelle vicinanze della fabbrica.
Il 6 marzo 2001 Billot mandò una lettera a tutte le autorità, inclusa Chriestie Whitman, amministratrice del E.P.A e al procuratore generale degli Stati Uniti d’America John Ashcroft.
DuPont reagì velocemente richiedendo l’obbligo di non pubblicazione per bloccare Bilott dal fornire le informazioni al governo che aveva scoperto nel caso Tennant.
La Corte federale lo negò. Bilott inviò il file dell’intero caso all’ E.P.A.
“DuPont andò su tutte le furie” dice Ned Mc Williams, un giovane avvocato in prova che più tardi prese parte alla squadra legale di Bilott. “Per un’azienda provare ad avere un ordine di non pubblicazione per prevenire che qualcuno parli con l’E.P.A. è una cosa estrema. Potete immaginare la gravità della cosa. Sapevamo che ci sarebbero state poche possibilità di vincere, ma erano talmente impauriti che fecero questa mossa“.
Con la famosa lettera, Bilott sorpassò il limite.
Anche se nominalmente rappresentava i Tennant – il loro accordo doveva ancora essere concluso – Bilott parlò alla gente, rendendo pubblica l’ampia frode e il reato commesso.
Era diventato una minaccia non solo per la DuPont, ma anche per “l’intera industria dei fluoro polimeri” – un’industria simbolo per l’utilizzo di plastica usata in molti dispositivi moderni inclusi prodotti per la cucina, cavi per il computer, dispositivi medici impiantabili, sigilli, sostegni in campo meccanico e aereonautico.
Il PFOA era una delle 60.000 delle sostanze sintetiche chimiche che le compagnie producevano e rilasciavano nel mondo senza una dovuta sorveglianza regolamentare.
“La lettera di Rob sollevò il sipario su un nuovo scenario”, dice Harry Deitzler, avvocato di un querelante del West Virginia che lavorava con Bilott.
“Prima di quella lettera le aziende potevano contare sull’errata percezione pubblica che le sostanze dannose venissero regolamentate.“
Secondo la legge sul controllo delle sostanze tossiche del 1976, l’E.P.A. poteva testare le sostanze chimiche solo nel caso in cui ci fossero prove della loro pericolosità.
Quest’accordo, che permette alle industrie chimiche di regolarsi autonomamente, è la ragione per cui l’E.P.A. contabilizza solo 5 sostanze chimiche su decine di migliaia presenti sul mercato degli ultimi quarant’anni.
Era particolarmente incriminante vedere queste accuse contro la DuPont, messe sulla carta intestata di uno degli studi legali di difesa delle aziende.
“Puoi immaginare cosa pensassero alcune delle altre aziende che la Taft rappresentava – la Dow Chemical Company ad esempio – riguardo ad un avvocato della Taft che andava contro la DuPont” dice Larry Winter. “Era una minaccia per la quale lo studio avrebbe potuto soffrirne a livello economico”.
Quando ho chiesto a Thomas Terp della reazione di Taft alla famosa lettera, lui ha risposto in modo non molto convincente, che non si ricordava. “I nostri soci “ disse, “sono fieri del lavoro che ha fatto.”
Bilott, comunque, era cosciente di cosa dovevano pensare le aziende che finora si erano fatte difendere dalla Taft. “Non sono stupido e la gente attorno me non è stupida. Non puoi ignorare il modo con cui un’attività economica è gestita e il modo in cui i clienti pensano”. Molti clienti dicevano “che diavolo sta succedendo?”
La DuPont si impegnò ad ottenere il raggiungimento di un accordo di $16.5 milioni con l’E.P.A., che accusò l’impresa di nascondere la conoscenza della tossicità e la presenza della PFOA nell’ambiente in violazione dell’atto di controllo delle sostanze tossiche. A quel tempo era ritenuta la più grande pena amministrativa e civile che l’E.P.A. avesse mai ottenuto, una dichiarazione che sembra più impressionante di quanto lo sia in realtà. La multa consisteva nel meno 2% dei profitti guadagnati dalla DuPont nel PFOA di quell’anno.
Bilott non rappresentò mai più clienti aziendali.
Il prossimo passo era quello di aprire la causa della class-action contro la DuPont per conto di tutti coloro la cui acqua fosse contaminata dalla PFOA.
Bilott era nella posizione ideale per farlo. Aveva capito la storia del PFOA meglio di chiunque altro, allo stesso livello della DuPont.
Era dotato di una competenza adatta così come aveva dimostrato nel caso Tennant. L’unica cosa che non aveva senso era il suo studio.
Nessun avvocato di Taft, per quanto si ricordasse, aveva mai aperto una class action.
Un conto era seguire un caso sentimentale per conto di un allevatore di bestiame del West Virginia e scrivere una lettera pubblica al E.P.A., ma fare una class action minatoria contro una delle più grandi corporazioni chimiche del mondo era ben diverso.
Un precedente nell’aver fatto causa alle corporazioni per l’uso di sostanze irregolari poteva destabilizzare, mettere in pericolo e far fallire la Taft.
Questa osservazione è stato fatta a Terp da Bernard Reilly, quando è stato chiamato per richiedere a Billot di recedere dal caso. (Terp conferma che Reilley l’ha chiamato ma che non rivelerà il contenuto dell’incontro ed anche Billot e Reilley si rifiutano di parlarne).
Dato ciò che Billiot aveva documentato nella sua Famosa Lettera, la Taft si era formalmente schierata contro il suo socio.
Presto si apre un’altro capitolo. Joseph Kiger, un insegnante del serale a Parkersburg, chiamò Bilott per chiedergli aiuto.
Circa nove mesi prima, aveva ricevuto un insolito bollettino dal distretto dell’acqua di Lubeck. Era arrivato il giorno di Halloween, incluso alla bolletta mensile dell’acqua. Il bollettino spiegava che una sostanza chimica irregolare chiamata PFOA era stata individuata nell’acqua potabile in basse concentrazioni, ma questo non era un rischio per la salute.
Kiger aveva sottolineato le dichiarazioni che aveva trovato particolarmente sconcertanti, come: “La DuPont dichiara di possedere dei dati tossicologici ed epidemiologici per salvaguardare la sicurezza e dimostrare che le linee guida stabilite dalla DuPont sono protettive nei confronti della salute umana.”
Il termine “salvaguardare la sicurezza” sembra bizzarro, come “protettive nei confronti della salute umana”, per non menzionare l’affermazione della DuPont di possedere dati per supportare la fiducia nelle loro linee guida.
In quel momento Kiger troppo occupato a pensare al PFOA non mette insieme le cose e non pensa a sua moglie Darlene. Cosa che poi si capirà l’importanza che ha.
Il primo marito di Darlene era un chimico nel laboratorio PFOA della DuPont. (Il suo nome non viene citato su espressa richiesta della donna).
“Quando lavori alla DuPont in questa città”, Darlene ci dice oggi “non puoi fare tutto quello che vuoi”. La DuPont paga l’educazione, assicurano un mutuo e pagano un generoso salario.
La DuPont racconta che a suo tempo gli diede anche una scorta gratuita di PFOA, che lei usò come sapone per la lavastoviglie e per pulire la macchina. Qualche volta suo marito stava male quando tornava a casa – febbre, nausea, diarrea e vomito- dopo aver lavorato in uno dei deposti di serbatoi di PFOA. Era un evento comune al Washington Works. Darlene dice che gli uomini dello stabilimento la chiamavano “influenza del Teflon”.
Nel 1976, dopo che Darlene partorì il suo secondo figlio, suo marito le disse che non gli era più permesso portare a casa i vestiti che indossava a lavoro. DuPont, disse, aveva scoperto che il PFOA stava causando problemi di salute alle donne e difetti di nascita tra i bambini
Darlene si ricorderà di questa cosa solamente sei anni più tardi, quando, a 36 anni, ebbe un’isterectomia d’urgenza e ancora otto anni dopo, quando subì un secondo intervento.
Quando arrivò la strana lettera dal distretto dell’acqua, Darlene disse: “continuo a pensare ai suoi vestiti, alla mia isterectomia. Mi sono chiesta che cosa c’è tra la DuPont e la nostra acqua potabile?”.
Joe aveva hiamato il Dipartimento di Ricerche Naturali del West Virginia. “Mi trattarono come se avessi la peste”. L’ufficio di Parnersburg del Dipartimento Statale di Protezione Ambientale. “Niente di cui preoccuparsi”. Il reparto delle acque. “Mi zittirono”. Il dipartimento locale sulla salute. “Sono un vero maleducato”. Alla fine chiama anche la DuPont. “Mi hanno riempito di un sacco di cavolate a cui nessuno potrebbe credere”. Tutte queste chiamate prima che uno scienziato dell’E.P.A. accettasse la mia chiamata, racconta.
“Buon dio Joe” mi disse lo scienziato. “Che diavolo sta combinando quella roba nell’acqua?”.Lo scienzato inviò a Kiger informazioni riguardo alla causa di Tennant. Sui documenti del tribunale Kriger vedeva sempre lo stesso nome: Robert Bilott, di Taft Stettinius e Hollister, a Cincinnati.
Billot aveva fatto causa per conto di uno o due dei distretti acquiferi più vicini al Washington Works. I test rivelarono che sei distretti, così come dozzine di pozzi privati, erano contaminati da livelli di PFOA più elevati degli stessi standard di sicurezza interna di DuPont. A Little Hocking, l’acqua risultò positiva al PFOA, superiore sette volte il limite stabilito.
Complessivamente 70.000 persone stavano bevendo acqua avvelenata. Alcuni lo stavano facendo da decenni.
Ma Bilott fronteggiò un irritante problema legale.
Il PFOA non era una sostanza regolamentata. Non appariva in nessuna lista federale o statale di contaminanti.
Come poteva Bilott affermare che 70.000 persone stavano bevendo acque avvelenate, se il governo non riconosceva il PFOA come una tossina – se il PFOA, legalmente parlando, non era diverso dall’acqua stessa?
Nel 2001 non era possibile dimostrare che l’esposizione al PFOA nell’acqua potabile pubblica causasse problemi di salute.
Erano disponibili poche informazioni riguardo al suo impatto su grande scala. Come poteva la popolazione dimostrare di essere stata danneggiata dal PFOA, quando i suoi effetti sulla salute erano ampiamente sconosciuti?
La miglior misura che Bilott aveva per giudicare un livello di esposizione sicura era il limite interno di una parte su un miliardo stabilito dalla stessa DuPont.
Ma quando DuPont capì che Bilott stava preparando un nuovo processo, annunciò che avrebbe rivalutato quelle cifra. Come nel caso Tennant, DuPont formò un team composto dai suoi stessi scienziati e dagli scienziati del Dipartimento della Protezione Ambientale del West Virginia.
Annunciò una nuova soglia:150 parti su un miliardo.
Bilott trovò la cifra ’pazzesca’.
I tossicologici che assunse avevano definito un limite di sicurezza di 0.2 parti su un miliardo.
Ma il West Virginia approvò il nuovo standard.
In due anni, tre avvocati abitualmente collaboratori della DuPont vennero assunti dallo stato D.E.P in posizione di comando.
“Gli stessi avvocati di DuPont con il compito di scrivere il limite di sicurezza” dice Bilott, “erano diventati regolatori del governo responsabili per la verifica del limite”.
Bilott ideò una nuova strategia legale.
Un anno prima, il West Virginia era diventato uno dei primi stati a riconoscere quella che è chiamata richiesta di monitoraggio.
L’unico compito di un querelante è quello di dimostrare di esser stato esposto ad una tossina. Se il querelante vince, all’imputato è richiesto di finanziare regolari controlli.
In questi casi, se un querelante dovesse ammalarsi, può far causa retroattivamente per danni. Per questa ragione Bilott archiviò la causa della class-action nell’agosto 2001, sebbene quattro su sei dei distretti di acqua infetta si trovassero lungo il confine dell’Ohio.
Nel frattempo l’E.P.A., colpita dalla ricerca di Bilott, iniziò la sua investigazione sulla tossicità del PFOA.
Nel 2002 la società rilasciò il suo primo verdetto: il PFOA poteva mettere a rischio la salute non solo di coloro che bevevano l’acqua contaminata, ma anche del pubblico – per esempio, chiunque cucinasse con le pentole di Teflon.
L’E.P.A. si allarmò particolarmente quando seppe che il PFOA era stato rilevato nella banca del sangue americano, cosa di cui la 3M e la DuPont erano a conoscenza già dal 1976.
Nel 2003 la concentrazione media di PFOA nel sangue di un adulto americano andava da quattro a cinque parti per miliardo.
Nel 2000, la 3M cessò la produzione di PFOA. La DuPont, invece di usare un composto alternativo, costruì una nuova fabbrica a Fayettville, N.C., per lavorare la sostanza.
La strategia di Bilott sembrava stesse funzionando. Nel settembre 2004, la DuPont decise di risolvere la causa della class-action acconsentendo ad installare impianti di filtrazione nei sei distretti d’acqua colpiti e a pagare un premio in denaro del valore di $70.000. Esso avrebbe finanziato uno studio scientifico per determinare se c’era un “probabile collegamento” – un termine che evitava delicatamente ogni dichiarazione di casualità – tra il PFOA e qualsiasi malattia.
Se fosse esistito un simile collegamento, DuPont avrebbe dovuto pagare per sempre per il monitoraggio medico del gruppo affetto. Finché gli studi scientifici non avessero reso noti i loro risultati, ai partecipanti della class action era vietato far causa per lesioni personali contro la DuPont.
Era già un risultato perchè normalmente viene dato un piccolo risarcimento e il processo finisce. Invece successe anche che la Taft ricevette una manna: Bilott e la sua squadra di avvocati querelanti del West Virginia ricevettero 21.7 milioni in tasse dall’accordo.
Non solo la Taft recuperò le sue perdite, ma la DuPont stava anche provvedendo a fornire acqua pulita alle comunità nominate nelle cause.
Bilott aveva tutte le ragioni per smettere. Ma non lo fece.
“C’e una differenziazione nei dati” dice Bilott.
Gli studi interni della compagnia sulla salute, schiaccianti com’erano, erano limitati agli impiegati della fabbrica. La DuPont poteva discutere – e ha discusso – dicendo che se la PFOA avesse causato problemi medici, sarebbe stato solo agli impiegati perchè maggiormente esposti rispetto agli abitanti che bevevano acqua contaminata.
La differenziazione permise alla DuPont di dichiarare che non aveva fatto nulla di sbagliato.
Bilott rappresentava 70.000 persone che avevano bevuto acqua contaminata dal PFOA per decenni.
Cosa sarebbe successo se l’accordo fosse stato usato per fare dei test sulle persone che avevano subito danni?
“I membri della class-action erano interessati a tre cose” disse Winter. “Uno: ho il C8 nel mio sangue? Due: se l’avessi, potrebbe essere dannoso? Tre: è allarmante, quali sono gli effetti?”.
Bilott e i suoi colleghi avrebbero potuto rispondere a tutte e tre le domande, se solo avessero potuto esaminare la salute dei loro clienti. Solo ora, realizzarono che c’era un modo per farlo.
Dopo l’accordo il team legale fece pressione per fare usare il premio in denaro per un’esame medico completo.
La popolazione votò a favore di questa strategia ed in pochi mesi, quasi 70.000 abitanti del West Virginia chiesero ed ottennerò di far analizzare il loro sangue con un budget di 400 dollari.
Il team di epidemiologi si era allargato grazie ai dati medici e non c’era niente che la DuPont potesse fare per fermarlo.Infatti, c’era l’altro termine dell’accordo che diceva che la DuPont avrebbe finanziato la ricerca senza limiti.
Gli scienziati, liberi da limitazioni di budget accademici e sovvenzioni, avevano a disposizione la possibilità di una vasta indagine epidemiologica: interi dati personali sulla popolazione e infinite risorse a disposizione per studiarli.
Gli scienziati idearono 12 studi, includendone uno che usando sofisticati modelli di tecnologia ambientale, determinò esattamente quando ogni individuo aveva ingerito PFOA.
Il panel di scienziati sarebbe stata messo davanti a dati convincenti ma Bilott non poteva prevedere quali sarebbero stati i risultati.
Se non si fosse trovata una correlazione tra il PFOA e le malattie, i clienti di Bilott sarebbero stati vincolati all’accordo di archiviazione dei casi per lesione personale.
La grande quantità di dati accumulati dalla comunità di studiosi e il budget illimitato costarono alla DuPont 33 milioni di dollari.
Il panel scientifico impiegò più tempo del dovuto per portare a termine l’analisi dei dati.
Passarono due anni senza nessun verdetto e Bilott aspettò pazientemente. Un terzo anno passò. Poi un quarto, un quinto, un sesto, gli scienziati erano ancora in silenzio.
Bilott aspettò ancora. Non fu un’attesa pacifica. La Taft faceva pressione su Bilott fin da quando era iniziata la causa nel 2001. Le tasse legali erano state un aiuto ma mentre gli anni passavano senza un verdetto, Bilott continuava a spendere i soldi dello studio e non riusciva ad attirare nuovi clienti. Una posizione scomoda. “Questo caso” continuava a dire Winter “a prescindere dal gran successo che ha avuto, non ridarà mai alla Taft ciò che ha perso nel corso degli anni per le attività legali”.
La Taft continuò a pagare consulenti, Bilott consigliava ai partecipanti alla class action del West Virginia e Ohio di andare frequentemente a Washington per partecipare agli incontri di E.P.A., i cui direttori stavano decidendo se fare avvisi ufficiali per il PFOA.
“Stavamo sostenendo diverse spese” dice Bilott “se la giuria scientifica non avesse trovato nessun legame con le malattie avremmo dovuto rimangiarci tutto”.
I clienti dicevano a Bilott che bisogna spiegare che avevano ricevuto diagnosi di cancro o che un membro della loro famiglia era morto. Volevano sapere perché la cosa stava impiegando così tanto tempo. Quando avrebbero ricevuto una risposta?
Tra loro c’era Jim Tennant. Wilbur, che aveva il cancro, morì a causa di un attacco cardiaco, due anni dopo la moglie. Bilott era tormentato dal pensiero che non venisse attribuita la colpa all’impresa, vera responsabile di quello che era successo.
La Taft non esitava a sostenere il caso, ma la tensione cominciava a salire. “Era stressante” dice Sarah Barlage, la moglie di Bilott. “Era esasperato dalla situazione. Ci mettevano troppo tempo. Ma si era impuntato. Lui è molto testardo, il fatto che non ci fosse alcun sviluppo lo spronava a continuare. Sapevamo che esistono casi senza fine.”
I suoi colleghi rilevarono un cambiamento in Bilott
“Avevo l’impressione che fosse estremamente difficile per lui gestire la situazione” dice Winter. “Rob aveva una bella famiglia, i bambini stavano crescendo ma era sotto pressione. Inoltre Rob è una persona riservata, non protestava, ma mostrava segni di essere sotto un enorme carico di stress.”
Nel 2010, Bilott iniziò a soffrire di strani attacchi: la vista gli si appannava, non riusciva a mettersi i calzini, sentiva le braccia intorpidite. I dottori non sapevano cosa stesse succedendo. Gli attacchi si ripetevano periodicamente, causando vista appannata, discorsi confusi e difficoltà nel muovere una parte del corpo. Lo colpivano improvvisamente, senza avviso, e gli effetti duravano giorni. I dottori gli chiedevano se era troppo stressato sul luogo di lavoro. “Niente di diverso dal solito”, diceva Bilott. Poi per fortuna riuscirono a curalo.
Nel dicembre 2011, dopo sette anni, gli scienziati iniziarono a render pubbliche le loro scoperte: c’era un “probabile collegamento” tra il PFOA e il cancro ai reni, il cancro ai testicoli, le malattie alla tiroide, il colesterolo alto, la pre-eclampsia e la colite ulcerosa.
“Fu un sollievo” dice Bilott. “Avremo potuto portare a termine ciò che avevamo promesso a quella gente sette anni prima. Dupont aveva detto che stavamo mentendo per provare a spaventare e ingannare le persone. Adesso avevamo una risposta scientifica”.
Ad ottobre 3.535 querelanti hanno avviato cause per lesioni personale contro la DuPont.
Il primo di questo gruppo ad andare a processo fu una sopravvissuta al cancro ai reni chiamata Carla Bartlett. Ad ottobre sono stati dati alla Bartlett $1.6 milioni di risarcimento.
Dupont ha iniziato subito a pianificare il ricorso. Ciò potrebbe avere implicazioni ben oltre il caso della Bartlett: il suo è uno dei cinque casi-tipo che verranno affrontati durante il corso di quest’anno.
DuPont potrebbe scegliere di accordarsi con ogni querelante usando questi casi per determinare il prezzo dell’accordo. Oppure Dupont potrebbe combattere ogni caso individualmente, una tattica che le compagnie di tabacco hanno usato per combattere le cause per lesioni personale.
Con un tasso di quattro processi all’anno, la Dupont continuerebbe a lottare per il caso PFOA fino all’anno 2890.
Il continuo rifiuto da parte della DuPont ad accettare le sue responsabilità sta esasperando Bilott.
“Pensi di aver negoziato in buona fede un accordo che tutti hanno accettato ed al quale hai lavorato per sette anni. Raggiungi un punto in cui le cose stanno per essere risolte ma alla fine rimangono ancora aperte. Penso ai clienti che stanno aspettando, molti dei quali sono malati o sono morti mentre aspettavano. E’ frustrante”.
Come parte dell’accordo con l’E.P.A., la DuPont ha cessato la produzione e l’uso di PFOA nel 2013. Anche le altre cinque compagnie internazionali che producono PFOA lo stanno rimuovendo dalla produzione.
La DuPont ora sta trattando la fusione con Daw Chemical in una nuova società chiamata Chemours. La nuova azienda ha rimpiazzato il PFOA con composti simili di fluoro, ideati per essere smaltiti in modo più veloce – un’alternativa considerata e poi scartata dalla DuPont più di vent’anni fa. Come il PFOA, queste nuove sostanze non sono state sottoposte ad alcuna regolamentazione dell’E.P.A.
Quando sono state richieste informazioni riguardo sulla sicurezza delle nuove sostanze chimiche, Chemour ha risposto in un comunicato: “Un’importante corpo di dati dimostra che queste alternative chimiche possono essere utilizzate in sicurezza.”
Lo scorso maggio, duecento scienziati provenienti da diversi ambiti hanno firmato l’accordo di Madrid, un documento che riguarda a produzione di prodotti chimici composti da fluoro o PFASS, includendo quelli che hanno sostituito il PFOA.
Il PFOA e i suoi sostituti sono sospettati di appartenere ad una grande classe di composti artificiali, definitive come sostanze chimiche che agiscono sul sistema endocrino. Questi composti, che includono prodotti chimici usati nella produzione di pesticidi, plastica e benzina, interferiscono con la riproduzione e il metabolismo umano, causando cancri, problemi alla tiroide e disordini al sistema nervoso.
Negli ultimi cinque anni una nuova onda di ricerca endocrinologica ha scoperto che anche dosi estremamente basse di questi prodotti chimici possono creare grossi problemi alla salute.
Nelle raccomandazioni degli scienziati di Madrid si legge: “bisognerebbe promuovere una legislazione per richiedere l’uso limitato di PFAS” e “se possibile evitare l’uso di prodotti contenenti o fabbricati con PFAS.”
Si tratta di molti prodotti, tra cui quelli antimacchia, resistenti all’acqua o antiaderenti.
Quando è stato chiesto a Dan Turner, capo delle public relation della DuPont, cosa pensava del accordo di Madrid, ha risposto con una mail.
“DuPont non crede che l’accordo di Madrid rifletta una reale valutazione dei dati disponibili sulle alternative alla lunga catena di materiali contenenti fluoro, come PFOA. La DuPont per più di un decennio ha lavorato con la supervisione da parte dei responsabili, per introdurre alternative valide al PFOA. Un’ampia gamma di dati dimostrano che queste sostanze alternative vengono eliminate più rapidamente dal corpo rispetto il PFOA e sono stati migliorati i profili di sicurezza per la salute. Siamo sicuri che queste sostanze alternative chimiche possano essere usate in sicurezza. I dati sono stati ben analizzati in collaborazione con agenzie ambientali in tutto il mondo.”
Rob Bilott ha continuato a scrivere lettere all’E.P.A. e al West Virginia D.E.P., esortando la regolazione di PFOA nell’acqua potabile.
Nel 2009, l’E.P.A. aveva definito un limite “provvisorio” di 0,4 parti per miliardo, ma non è mai stata fissata una cifra precisa. Questo significa che i distretti non sono obbligati a dire ai clienti se il PFOA è nella loro acqua.
In risposta all’ultima lettera di Bilott, la E.P.A. afferma che sarà definito un “livello di PFOA di sicurezza per la salute umana” entro il 2016.
Questo livello, se veramente verrà attuato, probabilmente sarà una fonte di sicurezza per le future generazioni.
Ma tu se sei una persona cosciente e stai leggendo questo articolo nel 2016, hai già PFOA nel tuo sangue.
E’ nel sangue dei tuoi genitori, nel sangue dei tuoi bambini, nel sangue del tuo compagno o compagna.
Com’è arrivato? Attraverso l’aria, attraverso la tua alimentazione, attraverso l’uso delle tue pentole antiaderenti, attraverso il tuo cordone ombelicale. O probabilmente hai bevuto acqua contaminata.
L’Environmental Workingroup ha trovato prodotti chimici fatti di fluoro presenti in novantaquattro distretti di acqua in ventisette Stati.
I residenti di Issaquah, Wash., Wilmington, Del., Colorado Springs e Nassau Country a Long Island presentano la più elevata concentrazione di sostanze chimiche contenenti fluoro persino rispetto ad alcuni distretti inclusi nella causa collettiva di Rob Bilott.
L’acquedotto di Parkersburg, il cui distretto non era incluso nella causa collettiva iniziale, ha perso nel costringere la DuPont a pagare per un sistema di filtrazione, ed è attualmente contaminato da alti livelli di PFOA. La maggior parte dei residenti sembra non essere a conoscenza di tutto questo.
Ovunque gli scienziati abbiano fatto test per provare la presenza di PFOA, questa è stata trovata.
Il PFOA è nel sangue e negli organi vitali del salmone atlantico, del pesce spada, della triglia a strisce, delle foche grigie, dei comunissimi cormorani, degli orsi polari dell’Alaska, dei pellicani marroni, delle aquile di mare, delle aquile del Midwest, dei leoni marini della California, dell’albatros Lysan del Sand Island, e nell’Oceano Pacifico del Nord, circa a metà strada tra Nordamerica e Asia.
“Guardiamo la realtà” dice Joe Kiger.
“Il problema è partito dal Washington Works, poi si è diffuso a livello statale, fino a toccare gli interi Stati Uniti. Ora è ovunque, è diventato globale. Abbiamo dato inizio a qualcosa di grande. Ma non si tratta solo di DuPont. Buon Dio! Al momento ci sono circa 60.000 sostanze chimiche non regolari là fuori, non abbiamo idea di cosa stiamo assorbendo”.
Bilott non rimpiange la sua lotta contro DuPont negli ultimi sedici anni, né il fatto che il PFOA abbia consumato la sua carriera. Ma è ancora arrabbiato.
“Non sopporto il solo pensiero che la DuPont possa farla franca” dice Bilott, a metà tra lo stupore e la rabbia.
“Che possa ancora fare profitti, poi firmare un accordo con le agenzie governative per mettere le cose in regola, utilizzando nella produzione sostanze alternative dagli effetti sconosciuti. E’ dal 2001 che parliamo con le agenzie di stato e non hanno fatto niente.
E’da 14 anni che questa cosa continua a essere utilizzata, continua a essere presente nell’acqua potabile di tutto il Paese. DuPont passa silenziosamente alla prossima sostanza. E nel frattempo chiunque abbia subito danni da essa, combatte.”
Attualmente Bilott prosegue con Walf contro la DuPont, il secondo dei casi di lesioni personale portati avanti dai partecipanti alla class action. Il querelante, John M.Walf di Parkersburg, afferma che il PFOA trovato nell’acqua che beve gli abbia causato la colite ulcerosa. Il processo inizia a marzo. Quando finirà, ci saranno altri 3.533 casi da provare.
Pubblicato il gennaio 2016
Errata corrige del 24 gennaio 2016.
L’articolo del 10 gennaio sull’azione legale contro la DuPont per l’inquinamento chimico riporta non correttamente la risposta data da DuPont negli anni 70 quando l’azienda scoprì gli alti livelli di concentrazione di PFOA nel sangue dei lavoratori del Washington Works, una fabbrica di DuPont. DuPont negò le informazioni dell’E.P.A., non quelle dei suoi lavoratori. L’articolo inoltre afferma erroneamente l’anno in cui la DuPont accordò la cifra di sedici milioni e mezzo di dollari con l’E.P.A. Era nel 2005, non nel 2006. In più, l’articolo sbaglia a riportare il nome del distretto da cui un residente ricevette una lettera, notando che era stata rilevata la presenza di PFOA nell’acqua potabile.
Era Lubeck, W.Va non Little Hocking, Ohio. L’articolo inoltre identifica erroneamente il distretto di cui l’acqua risultava positiva al test del PFOA di sette volte rispetto il limite.
Era Little Hocking, non Lubeck. L’articolo inoltre sbaglia la città nello stato Stato di Washington che conteneva sostanze chimiche basate sul fluoro nell’acqua potabile.
E’ Issaquah, non Seattle.
Tratto da New York Times