Attorno all’aggressione turca ai curdi

Continuano gli attacchi turchi nei confronti dei curdi del PKK nel nord Iraq con un bilancio sempre più grave e gli arresti in Turchia, che sono più di 500 tra curdi e militanti di sinistra. A Cizre nel distretto di Sirnak, la polizia ha aperto il fuoco su un gruppo di giovani che protestavano contro i bombardamenti nella Medya Defense Zone. Due giovani sono rimasti feriti. Uno di loro, Abdullah Özdal, di 21 anni, è stato colpito al petto ed è morto per le ferite riportate.

Martedì si riunirà la Nato , su richiesta del governo di Erdogan, per discutere delle operazioni militari presentate come azioni contro il “terrorismo” , mettendo insieme i barbari di Isis e con i curdi del Pkk. La Turchia vuole approfittare della situazione per attaccare i curdi, la loro forte presenza interna al paese, confermata dalle elezioni, ed ovviamente l’innovativa esperienza della Rojava, dopo aver permesso finora il transito per l’Isis, appoggiando così i tagliagole islamici . I curdi, da parte loro, con forza stanno resistendo, continuando a combattere, visto l’oggettiva rottura della tregua, e chiedono con forza che la comunità internazionale si schieri contro l’aggressione turca.

In tutta l’area continuano a scontrarsi le forze in campo regionali connesse alle altilenanti alleanze locali e globali, come si è ben visto con quello che si è mosso attorno all’accordo con l’Iran, attraverso le critiche in particolare agli americani (che peraltro si sono mossi in questo caso in sintonia con i russi) portate avanti da Israele, Arabia Saudita e company e la Turchia per il rinnovato ruolo internazionale che potrà giocare l’Iran, con la sua rete di relazioni da Hezbollah fino all’impresentabile Assad.

Quel che sta succedendo al confine tra Siria, Turchia e Iraq si inquadro in queste tensioni, se ne alimenta e le alimenta.

Nella città vecchia di Gerusalemme ci sono stati scontri tra attivisti palestinesi e reparti della polizia israeliana provocatoriamente arrivati fin nella Moschea di al-Aqsa durante la giornata dell’ingresso di diverse centinaia di ebrei nella Spianata delle Moschee in occasione per il “Tisha´ be-Av”.

Amnesty International per quanto riguarda l’Iran ha definito “un’attività frenetica” quella per cui dall’inizio dell’anno il governo ha eseguito 694 condanne a morte, l’equivalente di oltre tre persone al giorno. L’Iran è tra i 5 paesi in testa alla triste classica per le esecuzioni capitali insieme Arabia Saudita, Iraq, Cina e Stati Uniti.

In Siria , come racconta Nena News, su Zabadani, ultima roccaforte islamista nella cintura intorno a Damasco, cittadina al confine con il Libano, assediata dall’esercito di Assad e da Hezbollah da quasi un mese, sarebbero piovute almeno 50 bombe a barile, colpendo anche civili, mentre a Bruxelles il Consiglio nazionale siriano e il Comitato di Coordinamento nazionale formalmente (organi di opposizione al presidente siriano in esilio e all’interno) hanno annunciato di aver siglato un accordo per una roadmap che metta fine al conflitto, accomsemtendo a istituire un governo di transizione che guidi il paese fuori dalla guerra, governo di cui non faccia parte Assad.

Ma cosa sta succedendo realmente sul terreno, alle migliaia di persone, esseri umani che sopravvivono in queste parti di mondo?

Erdogan all’attacco. In casa e fuori

“Ho pagato sedicimila dollari per riavere con me la mia famiglia. E nonostante questo alcuni di loro sono stati uccisi sotto i miei occhi. Daesh dopo avermi mostrato cosa avevano fatto mi ha dato una sola possibilità, quella di pagare per averli indietro. Ho venduto tutto quello che avevo e ora mi trovo a vivere così, dentro una tenda. Per riaverli indietro ho dovuto vendere tutto, ma ancora non bastava. Così mi sono fatto aiutare e grazie al cielo ora sono di nuovo con me. Ci sono degli intermediari che portano i soldi e si fanno consegnare gli ostaggi. Non è solo la mia famiglia che ha subito questo in Iraq. Noi abitavamo a Sinjar ma ora solo qui mi sento al sicuro.” E’ un racconto struggente quello di quest’uomo cui neppure ho chiesto il nome da quanto ero turbato dalle sue parole. Eppure lui era quasi imperturbabile. Occhi fissi, sguardo deciso, non un tentennamento. La ferita però rimane aperta, lacerante. Sono in migliaia che vivono accampati non lontano da Dohuk, sulla strada che porta verso Lalish, la città sacra degli Ezidi. Popolo che da sempre vive in questa parte di mondo, un po’ in Siria e un po’ in Iraq. Non sono cristiani, non sono musulmani, sono semplicemente Ezidi. E non Yazidi come si dice erroneamente. Saddam li chiamava così per affermarne la loro accezione islamica, che invece non esiste. “Di storie come queste ce ne sono a centinaia – racconta Stefano di “Un Ponte Per” – ma nonostante tutto a queste barbarie non ci si abitua mai”.

Ascoltare queste storie nel giorno in cui questa parte di mondo pare capovolgersi rende ancora più difficile accettare quanto sta accadendo. Sono ormai 48 ore infatti che in barba alla logica, la nostra si intende, Erdogan fingendo di attaccare Isis in Siria approfitta per colpire le postazioni dei combattenti curdi. Anche in Iraq del Nord, il Kudistan liberato di Barzani. I due leader si sono sentiti al telefono ma cosa si sono detti davvero lo sanno solo loro. L’unica cosa certa che i loro rapporti sono sempre stati stretti e che la Turchia è il primo partner commerciale, non solo politico, del Kurdistan iracheno. Il risultato è quello che molti fanno finta di ignorare. Attaccare gli unici che da quando esiste si oppongono a ISIS è quanto sta accadendo. L’aviazione turca ha colpito zone come quella di Xakurke, Qandil, Behdinan, Zap, Gare, Basye, Amedia e Avasin. Sono rimasti feriti anche diversi civili. Se non bastasse in Turchia sono state arrestate più di 1600 persone. Tutte curde naturalmente. La risposta è stata immediata. Manifestazioni di piazza in molte città, non solo a Istanbul, represse da polizia ed esercito. Anche in altre città europee ci sono state manifestazioni, come a Londra e Berlino.

Se dopo la strage di Soruc Erdogan ha finto di volere intervenire contro Isis, amo cui hanno abboccato quasi tutti, media occidentali compresi, pare incomprensibile come mai a distanza di tanti giorni dalla suddetta tragedia nessuno ne rivendica la paternità. Eppure ISIS si prende sempre il “merito” di queste azioni, che siano in Rojava, in Tunisia o in Francia. Perché questa volta non l’ha ancora fatto è una domanda che è lecito porsi. L’unica cosa chiara che il patto di non belligeranza tra Pkk e il governo di Erdogan è andato gambe all’aria, proprio a poche settimane da un voto che ha visto il partito turco curdo, HDP, raccogliere moltissimi voti e mettere in difficoltà l’AKP che fino a quel giorno “regnava” indistrubato. Ocalan sono mesi che non può vedere neppure i suoi avvocati, isolato com’è. Pare difficile possa dare ordini se non può vedere nessuno. La situazione è quindi molto complicata e non può che peggiorare. Il gioco cui sta giocando Erdogan è molto pericoloso. Il Consiglio esecutivo del Congresso Nazionale del Kurdistan chiede a gran voce una presa di posizione da parte della comunità internazionale che però tarda ad arrivare.

Ivan Grozny

Tratto da Articolo 21


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