Tunisia – Cosa sta succedendo?

Brevi trafiletti spuntano qua e là, riferendo notizie al volo su quello che succede nel paese dei gelsomini. Nell’ultima settimana due flash: la condanna della giovane blogger Emna Chargui per un post sul Covid con richiami al Corano e le dimissioni del primo Ministro, con conseguente crisi di governo.
Partiamo da queste due notizie per andare più in là.
Il paese, come il resto del mondo, vive nel tempo del Covid 19: cresce la crisi economica con la previsione di migliaia di persone che si aggiungeranno al 30% di disoccupazione già presente. Una crescita dei senza lavoro dovuta anche alla caduta del turismo, che da solo rappresenta il 14 % delle entrate.
In questo contesto si acuisce quella sorte di tensione irriducibile ma sempre più evidente tra un un sistema dei partiti, autocentrato solo sulla spartizione del potere e che non esita ad avallare politiche repressive, ammantate dal discorso sulla sicurezza e le molteplici resistenze di attiviste ed attivisti che difendono le libertà ed i diritti così come proteste popolari che rischiano a volte di diventare un nuovo terreno di radicalismo.
Una tensione che non può essere sanata con maquillage istituzionali e neanche con interventi internazionali interessati al mantenimento dello status quo più che al cambiamento. Per questo la condivisione e comprensione della realtà e il sostegno a chi si mobilità per i diritti, fuori da ogni strumentalizzazione religiosa, diventa quanto mai importante.

Condanna a 6 mesi per Emna Chargui

Cosa ha fatto la giovane blogger? Ha ripubblicato un post per parlare del Covid utilizzando parole come Sura corona con il linguaggio e la grafica del Corano.
Nella condanna il Tribunale di Tunisi ha accettato l’ipotesi dell’accusa, incardinata dalla polizia: la giovane è colpevole di un mix tra attentato alla religione, incitazione all’odio tra le religioni e le razze e attentato ai buoni costumi.
Una condanna pesante, duramente criticata dagli avvocati difensori e dalle organizzazioni democratiche tunisine.
La prima condanna di questo tipo dopo l’approvazione della nuova Costituzione nel 2014, dove se da un lato c’è la difesa della religione al tempo stesso c’è la difesa della libertà di coscienza.
Da quando ha pubblicato il post e la sua vicenda ha avuto l’onore delle cronache Emna ha paura. Non si aspettava queste reazioni, aveva semplicemente ripostato qualcosa che gli pareva interessante per attirare l’attenzione sulla pandemia. Ha ricevuto minacce di aggressione, stupro e morte. I suoi difensori ora faranno ricorso in appello ma in Tunisia non esiste una Corte Costituzionale, che sarebbe l’organo adeguato a prendere in mano la questione.
Intorno al suo caso ci si è mobilitati con sit in ed iniziative, anche internazionali come la nota di Amnesty International.
Le attiviste e gli attivisti, le organizzazioni civili sono vicini a Emna per non farla sentire sola ma circondata da solidarietà e vicinanza.

Crisi di governo

Dopo un dibattito durato diversi mesi il primo ministro FakhFakh ha annunciato le dimissioni, dopo aver guidato per 5 mesi un governo frutto delle lunghe mediazioni tra i partiti. All’indomani delle elezioni del 15 novembre 2019, in cui nessun partito ha preso la maggioranza, si è instaurata una sorte di “grande coalizione”, in cui ogni compagine ha cercato di piazzare i propri Ministri. Il tutto con la benedizione del Presidente Kais Saied, giurista conservatore, che ha vinto le elezioni presidenziali con la grancassa della “lotta alla corruzione”. La messa in discussione di FakhFakh per conflitto d’interessi viene da Ennadah, che ha 54 seggi su 217 e non è stata accontentata dalla composizione del Governo. L’accusa: conflitto d’interessi per non aver abbandonato le quote dentro la Total, impresa che ha contratti con lo stato tunisino.
Adesso toccherà al Presidente districare la matassa tunisina e nominare un nuovo Primo Ministro, capace di fare un governo con uno straccio di maggioranza.
Dietro a questo stallo istituzionale c’è la continua litigiosità tra le forze politiche, nessuna sopra il 25%. In particolare si scontrano per un pezzo in più di potere la coalizione islamista Al-Karama, accompagnata da altri piccoli partitini, contro Qalb Tunes, partito populista fondato dal patron di Nessma Tv, Nabil Karoui, anch’esso circondato da altri piccoli partitini.
Intanto in una inchiesta sulla vicinanza tra cittadini e istituzioni il 68 % dei tunisini intervistati alla domanda a che partito siete vicini dicono a nessuno.

Tra repressione e mobilitazioni sociali

Nel sito Inkyfada si affrontano con diversi articoli i vari aspetti che denotano uno strisciante ma costante tentativo di imporre forme di repressione e di attacco ai diritti formalmente acquisiti con la nuova Costituzione.
Le inchieste e reportage sono dedicate a varie vicende emblematiche, ne segnaliamo alcuni.
“Il dilemma della giustizia antiterrorismo” è un webdoc illustrato dedicato a un tuffo senza precedenti nel funzionamento della giustizia tunisina antiterrorismo. I 5 episodi di questa serie esplorano le molteplici sfaccettature dello jihadismo e della lotta al terrorismo in Tunisia, alla luce delle molte contraddizioni.
“Covid 19 in Tunisia: concentrazione e abuso di potere con la copertura dell’epidemia” è un reportage che analizza come tra confinamento, coprifuoco e blocchi alla mobilità, con la proclamazione dello stato d’emergenza le autorità abbiamo preso una serie di misure restrittive che vanno ben più in là della giusta attenzione alla prevenzione.
Tutto questo in una situazione sociale dove la crisi economica si fa più pesante sia per le tunisine e i tunisini alle prese con precarietà e telelavoro sia per i migranti presenti nel paese, come gli ivoriani.

Una crisi economica che affonda le sue radici in scelte strutturali come quelle collegate all’agricoltura, che hanno portato la Tunisia a importare gran parte degli alimenti, come il grano o all’assurdità di esportare la gran parte di produzione di olio d’oliva per importare oli vegetali per il mercato interno. Un programmato attacco alla sovranità alimentare come spiega in Tunisia in red il professore e geografo Abib Ayed che nel suo intervento giustamente evidenzia che solo un radicale cambio di passo può dare la giusta centralità alle politiche agricole in Tunisia, sostenendo i contadini e garantendone la possibilità reale di contribuire al rafforzamento del mercato interno.

L’acuirsi della crisi economica porta a momenti di tensione, in particolare nelle zone del sud e dell’interno, da sempre le più povere del paese, volutamente lasciate in uno situazione di crescente marginalità e nelle periferie urbane.
Jihed Haj Salem, ricercatore tunisino indipendente, in un articolo per Middle East Eye, tradotto in italiano da Tunisian in Red analizza i limiti e le contraddizioni delle proteste dei giovani contro la disoccupazione e il sottosviluppo, ad esempio nella regione di Tataouine e come queste dinamiche non trovino eco nella politica e nei dibattiti parlamentari mentre possono essere intercettate da forme di integralismo religioso.


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