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Terre agli Indios della Raposa Serra do Sol

Sentenza storica in Brasile a favore della popolazione indigena di Roraima

Ya Basta Reggio Emilia

In questo articolo si parla di:

  • 202/674 Brasile
  • 143/674 Terra

“Il Supremo tribunale federale, 10 voti contro uno, ratifica la grande riserva indigena dello stato del Roraima. Coronamento di 30 di lotte dei nativi. La terra, proprietà dello stato, in usufrutto perpetuo agli indios. I latifondisti e i (sei) risicoltori dovranno sloggiare”.

- Vedi: Roraima, un conflitto che dura da oltre 30 anni

A Surumu, nell’area indigena di Raposa Serra do Sol, in Roraima, ieri mattina gli indigeni si sono svegliati quasi increduli. I 30 di lotta per ottenere il riconoscimento del loro diritto - divenuto costituzionale dal 1988 - di utilizzare le terre tradizionali sono terminati giovedì scorso. Il Supremo tribunale federale (Stf) ha chiuso il processo 3388, decidendo che Raposa Serra do Sol potrà da ora in poi appartenere solo alle 5 etnie della zona. Dieci giudici su 11, a favore. I coltivatori di soia e di riso che hanno distrutto per anni l’ambiente, inquinando i fiumi con i pesticidi, attaccando le donne e i ragazzi indigeni hanno ora 15 giorni di tempo per andarsene, lasciando le terre alle 192 comunità indigene, formate da poco più di 20 mila persone.

E’ una decisione fondamentale, storica, che garantirà i diritti indigeni non solo di Roraima - stato all’estremo nord del Brasile - ma di tutti gli stati brasiliani. Il diritto esclusivo all’utilizzo delle terre indigene che 6 coltivatori di riso e di soia avevano contestato nel 2006, affermato dalla corte suprema di Brasilia, ha infatti valore di giurisprudenza costituzionale per tutte le aree, già riconosciute o future.

Come già aveva annunciato il suo presidente Gilmar Mendes qualche mese fa, il supremo tribunale ha voluto esprimersi sull’intera politica indigenista. La sentenza spiega in 19 punti qual è la legittima interpretazione della disposizione costituzionale che dopo la dittatura militare riconobbe i diritti delle popolazioni native. La terra viene concessa in usufrutto perpetuo agli indigeni, escludendo il diritto di proprietà che rimane all’Unione: è questo il perno giuridico sostanziale. Non potranno più arrivare fazendeiros a comprare le terre. Vengono poi escluse dal diritto di usufrutto le ricerche minerarie e lo sfruttamento energetico dei corsi d’acqua, visto che il garimpo - le miniere d’oro e di diamanti - e le dighe sono state i principali nemici dei nativi.Una limitazione voluta anche per mettere a tacere la propaganda che da decenni accusava gli indigeni di essere la testa di ponte di oscuri interessi, di volere le terre per rubare le ricchezze dell’Amazzonia: l’ossessione del nemico interno, della mano straniera che - attraverso gli indios - vorrebbe rapinare il Brasile.
Nella sentenza è quindi affermato con chiarezza che l’esistenza delle terre indigene protette non interferisce in alcuna maniera con la sicurezza nazionale. Su questo punto c’è forse l’interpretazione più importante, visto che l’altra accusa della destra ruralista brasiliana e dei militari era che le aree indigene potevano creare problemi di sovranità, portando ad una internazionalizzazione dell’Amazzonia. Dal marzo del 2008 - quando la questione Raposa Serra do Sol era esplosa - molti generali giravano nei circoli di destra a spiegare i pericoli di creazione di stati indipendenti indigeni: «Non vogliamo diventare un nuovo Kosovo», dicevano chiedendo il rafforzamento della presenza militare in quelle aree.
La sentenza del Stf non esclude la possibilità per militari e forze di sicurezza nazionale di entrare nelle aree protette - anche senza il consenso delle comunità indigene - mediando così con le ansie dell’esercito. In realtà il principio a Raposa Serra do Sol era già attuato.

L’area di Raposa Serra do Sol ha dunque oggi un confine definitivo. 1.7 milioni di ettari per 20 mila indigeni. «Tanta terra per pochi indigeni» era l’altra accusa - che ancora oggi si sente tra i politici degli stati amazzonici. In realtà l’unica riforma agraria riuscita, quella indigena, ha garantito un tasso di crescita delle popolazioni native ben superiore alle aree rurali. La densità a Raposa è quasi 4 volte superiore a quella delle aree non indigene, dove pochissimi fazendeiros possiedono tantissima terra. Nelle aree indigene, poi, l’esclusione delle monoculture predatorie - la soia e il riso - ha permesso di mantenere una biodiversità che rende le 192 comunità tra le più sane del nord del Brasile. E l’organizzazione sociale fondata su comunità e partecipazione di tutti ha permesso la sopravvivenza di un popolo che in molti davano per morto.

tratto da "Il Manifesto" del 21 Marzo 2009

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