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Chiapas - Il potere curativo della comunità

Articolo di Raul Zibecchi

Associazione Ya Basta Caminantes

In questo articolo si parla di:

  • 700/700 Messico

Il potere curativo della comunità

Un’attitudine emancipatoria in materia di salute suppone il recupero da parte della comunità, e di coloro che la compongono, dei sui poteri curativi espropriati dal sapere medico e dallo Stato. Però implica, anche, liberarsi del controllo che il capitale esegue sopra la salute attraverso le multinazionali farmaceutiche, che hanno giocato un ruolo importante nel processo di “medicalizzazione” della società. Le pratiche in tema di salute degli zapatisti, così come di una molteplicità di popoli indigeni, e di alcuni collettivi di “piqueteros”, nonostante le enormi distanze culturali che esistono tra questi soggetti, hanno alcuni punti in comune.
I popoli indigeni spesso recuperano i loro saperi ancestrali, che significa riconoscere i saperi dei medici tradizionali, senza scartare la loro combinazione con la medicina moderna. Allo stesso modo che, in una prima tappa, misero in piedi scuole per tenere un posto nel quale i bambini potessero studiare, molte volte il primo passo consiste nel conseguire un dispensario di salute nella comunità per risolvere i casi più urgenti che provocano elevati tassi di mortalità. Tuttavia, i popoli indigeni hanno una lunga tradizione in materia di salute.
Nella cosmovisione tradizionale non esiste separazione tra salute e forma di vita, ossia, comunità. Per questo, “la salute degli individui in quanto corpi fisici, dipende, sostanzialmente, dalla salute della comunità” (Maldonando, 2003). Il concetto curativo della medicina indigena forma parte del concetto curativo di questa società, e risiede, per un lato, in una fitta rete di relazioni sociali di reprocità: “minga” o lavoro comunitario, assemblee e feste collettive: spazi per “liberare armoniosamente il subcosciente, tanto l’individuale quanto il collettivo” (Ramon, 1993: 329). Dall’altro, la famiglia e le relazioni famigliari estese (parenti e parenti rituali).
Nelle società indigene, la capacità di curare forma parte delle loro strutture autogenerate, a differenza delle società occidentali nelle quali si è creato un corpo medico-ospedaliero separato dalla società, che la controlla e la vigila. I medici indigeni si sono organizzati in varie regioni per recuperare e potenziare i saperi della medicina indigena (Acero y Dalle Rive, 1998; Fryermuth, 1993). Questa attitudine forma parte del processo emancipatorio degli indigeni del nostro continente, e forma parte del prolungato processo di costituzione di questi popoli come soggetto politico. In alcuni casi le organizzazioni indigene (come la Conaie ecuadoriana e il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca in Colombia, CRIC, tra altri), hanno sviluppato i propri programmi di salute, con la collaborazione di medici e infermiere allenati nella medicina occidentali, e con la collaborazione più o meno efficiente degli Stati (CRIC, 1998).
Nei 5 Caracoles zapatisti si è posto in piedi un sistema di salute che arriva a tutte le comunità. Funzionano molte case di salute (circa 800), gestite da un numero simile di promotori di salute, e una ventina di cliniche municipali e due ospedali nei quali si realizzano operazioni chirurgiche (Munoz, 2004). L’ospedale di San Jose’ del Rio, nella Realidad, è stato costruito durante tre anni da migliaia di indigeni che lavorarono in turni. Lì funziona anche una scuola di promotori di salute, c’è uno studio dentistico e un erbolario, e un laboratorio clinico. Nell’ospedale lavorano a tempo pieno vari volontari provenienti dalle comunità, la Giunta del Buon Governo “li appoggia per ciò che riguarda l’alimentazione, i loro spostamenti, gli fornisce scarpe e vestiti”, pero non riscuotono denaro (Munoz, 2004),. E hanno realizzato un erbolario: “questo sogno iniziò quando ci siamo resi conto che stavamo perdendo le conoscenze dei nostri anziani e anziane. Essi sanno curare le ossa e le storte, conoscono l’uso delle erbe, sanno assistere il parto delle donne, però tutta questa tradizione si stava perdendo con l’uso della medicina di farmacia. Allora ci siamo posti d’accordo tra le comunità e abbiamo convocato tutti gli uomini e le donne che sanno di cure tradizionali. Non fu facile questa convocatoria.
Molti compagni e compagne non volevano condividere le loro conoscenze, dicevano che erano un dono che non poteva essere trasmesso perché era qualcosa che si aveva innato. Allora abbiamo dovuto convincere le comunità, le nostre autorità della salute hanno dovuto discutere fino a ottenere che molti e molte hanno cambiato il loro modo di vedere e hanno deciso di partecipare ai corsi.
Circa 20 uomini e donne, anziani delle nostre comunità, fecero da maestri della salute tradizionale e 350 alunni parteciparono, la maggioranza donne.
Ora si sono moltiplicate le “parteras”, le “hueseras” e le “yerberas” nelle comunità” (Munoz, 2004).
Nelle regioni autonome esiste una rete di case di salute e cliniche, studi dentistici, laboratori di analisi cliniche e di erbolari, dove si pratica oftalmologia, ginecologia e farmacia. Le visite hanno un prezzo simbolico per gli zapatisti e a volte sono gratuite, e si curano tutti coloro che lo richiedono, siano o no basi di appoggio dello zapatismo; le medicine si regalano se sono donate e si pagano al prezzo di costo se sono state comprate; le medicine tradizionali sono gratuite. In alcuni Caracoles si preparano infusioni e pomate con piante medicinali. Tutto questo è stato realizzato con il lavoro delle comunità e l’appoggio della solidarietà nazionale e internazionale, pero senza nessuna partecipazione dello Stato messicano.

*Tratto da Raul Zibechi “Autonomias y emancipaciones – America Latina en movimiento”, 1° ed.-Mexico, D.F.: Bajo Tierra ediciones, 2008; pag. 41-43

09

Febbraio

2009

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