In questo articolo si parla di:
A vederla questa donna minuta, i capelli corti corti, il sorriso di una dolcezza disarmante, si fa fatica a capire perché incuta tanto timore.
Perché di paura di tratta. Il governo turco ha cercato di «cancellarla» infliggendole quindici anni di carcere e tenendola segregata per dieci. Ma il nome e la voce di Leyla Zana sono rimasti nei cuori e nelle menti dei kurdi e non solo. Quando Leyla parla lo fa con un tono dolce ma determinato al tempo stesso. E quando parla, parla. La passione detta parole ferme e pesanti come macigni. Mai insulti, ma la verità. La spietata analisi della realtà. Allora si capisce che cos’è che fa così paura all’establishment turco. Leyla Zana è una donna libera. La sua mente è libera. L’immagine macha e militaresca dell’establishment turco vacilla di fronte a questa donna. Perché parla, pensa e perché è donna.
Da oggi Leyla Zana sarà in Italia, per un breve giro di incontri e conferenze. Da quando è uscita di prigione, nel 2004, la ex deputata kurda non si è mai fermata. Nonostante i segni indelebili che i dieci anni di carcere hanno lasciato a lei, come ai suoi tre compagni ex deputati. Orhan Dogan è morto, il suo cuore non ha retto gli sforzi, durante la campagna elettorale del 2007 che ha portato in parlamento venti deputati kurdi. Hatip Dicle e Selim Sadak continuano la loro attività politica.
Leyla Zana è stata tra i fondatori del partito Dtp (Demokratic Toplum Partisi, partito della società democratica). «Sappiamo tutti - dice - che una Turchia pacificata sarebbe la più grande garanzia di pace in Europa, in Medioriente e nel mondo». Parla in kurdo, Zana, come fece al momento del giuramento in parlamento, dopo la sua elezione, nel 1991, auspicando fratellanza e pace tra i popoli kurdo e turco. Per questo «oltraggio» venne condannata per separatismo. Non è cambiato molto in questi 27 anni: la repressione contro il popolo kurdo continua e nemmeno sul fronte della lingua si registrano molti progressi. «Trovo che sia motivo di grande imbarazzo per la Turchia - dice Zana - che centinaia di persone continuino a subire processi perché si esprimono nella loro madrelingua». Nelle zone kurde la campagna per il diritto a parlare in kurdo è di nuovo in primo piano: ci sono state proteste e iniziative nelle scuole, i sindaci kurdi sfidano quotidianamente (come gli studenti e la popolazione) le autorità.
«I kurdi sono il fuoco: se ci avvicina in maniera giusta al fuoco ci si scalderà, ma se ci si avvicina al fuoco nel modo sbagliato ci si brucia», ha detto Zana in occasione delle celebrazioni del Newroz, il capodanno kurdo. Per quel discorso è stato aperto un nuovo (l’ennesimo da quando è uscita dal carcere) procedimento contro di lei. «I kurdi oggi - dice ancora - non sono soltanto sotto attacco da parte della Turchia, della Siria e dall’Iran. I kurdi oggi stanno subendo un attacco internazionale. Quando si parla di questione kurda, quando si chiede di affrontare la questione kurda, vengono immediatamente dimenticati i protocolli e le legislazioni internazionali. Si dimenticano i diritti umani e perfino la democrazia».
Ma per affrontare la questione kurda in maniera efficace, sottolinea Zana «bisogna comprendere davvero la questione, definirla nei termini corretti per poterla affrontare». Perché se la questione kurda fosse soltanto «una questione di povertà e sicurezza, i metodi utilizzati da oltre mezzo secolo non avrebbero forse portato qualche risultato?». I metodi a cui si riferisce Zana sono «i pestaggi, la tortura, l’arresto indiscriminato, le esecuzioni, le migrazioni forzate, gli omicidi extra giudiziari, le evacuazioni dei villaggi, le guardie di villaggio». Ma «distruzione e negazione - dice Zana - non possono essere l’unico modo per affrontare il problema». L’accordo, il negoziato cui bisogna arrivare per l’ex parlamentare kurda deve essere «prima l’ammissione del fatto che non si può risolvere un problema attraverso una politica di condanna, chiudendo i partiti politici, aumentando il numero di arresti e processi, impedendo la crescita della politica della società civile e soprattutto considerando la morte di centinaia di esseri umani come puro dato statistico». Zana è chiara nella sua richiesta di soluzione negoziata al conflitto. E ripete quello che va ripetendo da tempo. «I kurdi vedono il Pkk come una sorta di garanzia. Lo stesso Pkk ha dichiarato che se le soluzioni necessarie verranno fornite e gli attacchi contro di loro cesseranno e i diritti democratici saranno garantiti, è pronto a cessare il fuoco e deporre le armi. I kurdi - dice Zana - non hanno una passione per le armi. Se ci fosse un progetto reale e entrambe le parti fossero pronte a negoziare, allora le attività armate cesserebbero. Se il dialogo e la riconciliazione sono richiesti, allora è necessario parlare a tutti i kurdi e non soltanto a una parte di essi».
Le sue parole, i suoi discorsi continuano a essere usati dall’establishment turco per aprire processi contro di lei. A settembre sono stati chiesti complessivamente sessant’anni di carcere per nove discorsi diversi pronunciati in questi mesi da Zana. L’Alta Corte di Diyarbakir ha chiesto quarantacinque anni di carcere perché «l’imputata in ogni riunione a cui partecipa sostiene di non ritenere il Pkk un’organizzazione terrorista e di considerare il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, come il leader del popolo kurdo oltre a sostenere che la lotta del Pkk è una lotta per la democrazia e la libertà». L’accusa mossa a Zana è di «fare propaganda terroristica».
Leyla Zana è nata a Bahce. Oggi quel villaggio non c’è più, è stato distrutto (come altri quattromila) dall’esercito turco. Era un villaggio dove il patriarcato era molto forte e la vita delle donne piena di castighi. Leyla il castigo non lo voleva. Fin da bambina le mettevano il velo e lei se lo strappava. Si sposa con l’ex sindaco di Diyarbakir, Mehdi Zana, giovanissima perché così vuole la famiglia. Il marito, uomo colto e sensibile, diventerà il sostenitore della moglie ormai decisa a intraprendere la battaglia per la difesa dei diritti del suo popolo. La coppia va a vivere a Amed, Diyarbakir, e Mehdi viene eletto sindaco nel 1977. Il golpe del 1980 porta Mehdi Zana in carcere condannato a 30 anni e Leyla, madre di due figli, continua instancabile la sua campagna per i diritti del suo popolo. Diviene la portavoce delle donne che avevano figli, mariti, fratelli in carcere, ma lei era convinta anche della necessità dell’autorganizzazione delle donne per i propri diritti. È la direttrice di una rivista che le autorità turche non tardano a chiudere, ma lei continua a lottare.
Viene eletta al parlamento nelle fila del Dep. È candidata a Diyarbakir dove prende una marea di voti. Ma subito dopo viene privata dell’immunità e arrestata. Così l’establishment turco pensava di liberarsi di un «nemico». Ma in realtà Leyla Zana è diventata il simbolo della lotta di liberazione del popolo kurdo. E della liberazione delle donne. «Non dimentichiamoci - dice Zana - che noi soffriamo due volte, anzi tre. In quanto kurde, in quanto proletarie e in quanto donne». In un dibattito recente una femminista inglese ha chiesto a Zana del suo rapporto con gli uomini. «Beh - ha risposto lei - francamente mi chiedo e vi chiedo, preferite che gli uomini continuino a camminare davanti a voi, oppure dietro di voi? Io - ha concluso - preferisco che gli uomini camminino al fianco delle donne. Per questo è importante che le donne, le madri, crescano i loro figli con questo spirito di uguaglianza».