In questo articolo si parla di:
Progresso. A tutti i costi.
E’ questo il pensiero dominante dietro le politiche economiche nazionali implementate in Brasile.
D’altronde la bandiera stessa del Brasile che reca la scritta “Ordem e Progresso” non è mai stata così attuale.
Ce ne siamo resi conto quest’estate, in viaggio attraverso la complessa realtà brasiliana.
Il Progresso non guarda in faccia a nessuno. Non ascolta le ragioni della gente a cui viene tolta la terra e impedito l’accesso gratuito all’acqua, non interpella chi perderà la propria casa per lasciare spazio a basi militari, canali e laghi artificiali, non vede il dolore delle persone, non sente le grida di rabbia.
Il Progresso, ai giorni nostri, va a braccetto con l’Agrobusiness e per questo non pensa al bene del singolo, ma agli interessi internazionali, agli equilibri economici, e lascia dietro di sé fame e miseria per milioni di persone.
Questa unione del vecchio e del nuovo modello agricolo (fazendeiros e mercati internazionali) sta portando con sé una nuova ondata di repressione nelle zone rurali.
L’MST denuncia una escalation della violenza soprattutto nei territori occupati dai propri militanti che sono oggetto di interesse delle multinazionali e dei grandi proprietari terrieri, destinati alle monocoltivazioni della canna da zucchero, del miglio e della soia. Gli attacchi e le minacce dei pistoleiros alle comunità sono all’ordine del giorno in tutto il Paese.
Come se non bastasse, anche la burocrazia brasiliana cerca di ostacolare il lento processo di democratizzazione della terra portato avanti dalle comunità contadine.
Enti come l’INCRA e l’IBAMA hanno emanato nell’ultimo anno una serie di norme che ostacolano la produzione agricola delle piccole comunità, costringendole a spostare orti e coltivazioni lontane dai fiumi, o rendendo più tortuoso il processo di espropriazione delle terre.
E’ degli ultimi giorni poi la notizia che è stata emanata una nuova normativa, già approvata dal Presidente Lula, che rende ancora più lungo l’iter burocratico delle comunità quilombolas che lottano per il riconoscimento dei propri territori, e che autorizza i settori militari a intervenire con divieti in caso le aree vengano ritenute strategicamente importanti.
Queste comunità sono situate lungo le rive dei fiumi, in territori estremamente fertili o di interesse strategico nazionale (come la penisola di Alcantara) e da alcuni anni stanno organizzando in tutto il territorio brasiliano una grande resistenza, assieme ai movimenti come l’MST e il MAB, contro la costruzione di dighe e contro i progetti che li vorrebbero veder lasciare le loro terre in cambio di misere indennizzazioni.
La risposta dell’Agrobusiness a queste nuove forme di resistenza non poteva tardare.
Il Brasile è così oggi un esempio eclatante di come la vita stessa non abbia diritti né voce in capitolo di fronte alle logiche del mercato e del profitto.
Da sempre fornitore di materie prime e manodopera a basso costo, continua ancora oggi ad assolvere il suo ruolo, senza cercare una reale indipendenza dai mercati esteri, senza cercare di risolvere i problemi di fame, ignoranza e disoccupazione del suo popolo, ma creando solo nuove povertà e nuove dipendenze.