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Arrivano al caracol cinque furgoncini per prelevare i carovanieri rimasti a La Garrucha. Il comandante Ismael ci vuole accompagnare a visitare due comunità, quella di Galiana e quella di San Alejandro, dove i militari hanno tentato di distruggere i campi di mais e di fagioli del popolo zapatista con la scusa che qui si coltivava marijuana. “E se la trovate – ci aveva detto scherzando il sub comandante Marcos, la sera prima – non fumatevela!” E’ proprio in quelle vallate che è cominciata la rebeldia.
Ricordiamo che la coltivazione di marijuana è vietata in tutti i municipi zapatisti per non dare all’esercito messicano l’opportunità di intervenire in armi con la scusa di combattere il narcotraffico.
Il viaggio è piuttosto avventuroso. I vecchi motori dei camioncini stentano a cambiare marcia sulle salite e i carovanieri sono costretti a farsi lunghi tratti a piedi. Arrivati al sentiero, il comandante Ismael e altri “compas” zapatisti cominciano a farsi largo a colpi di machete. Salita dura per noi europei, tra fango, coltivazioni di mais (e non certo di marijuana), boscaglia fitta e milioni di zanzare e di altri animaletti assetati del nostro sangue.
Ascolta l’audio della spiegazione del Comandante Ismael durante la salita alla Comunità Hermenegildo Galeana su regeneracionradio a questo link
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Arriviamo a La Galiana a metà pomeriggio. Un villaggio di una trentina di abitazioni immerso in una vallata verde smeraldo dove il tempo pare essersi fermato. In mezzo scorre un piccolo torrente che è la vera “main street” del paese. La gente ci attende all’entrata. Siamo i primi “internazionali” a raggiungere la loro vallata. Tutti in fila, prima i bambini, poi le bambine, le donne e gli uomini. Tutti col volto coperto. Una chitarra, un violino con una corda di meno e un basso con solo due corde suonano per noi l’inno zapatista. La gente grida “Zapata vive”. Rispondiamo “La lucha sigue”.
E’ subito festa grande. Ci chiedono di non fotografarli se non hanno il fazzoletto sul volto e gli diamo la nostra parola. Parola di “compas” che per loro è più che sufficiente. Ci sistemiamo su un paio di baracche con amache e sacchi a pelo. Comincia a diluviare ma la festa non si ferma e si va avanti a ballare sino a notte sotto una tettoia. Il giorno dopo, ci dividiamo in due gruppi per andare a vedere la “marijuana che non c’è”. Un’altra salita dura. Arriviamo su un grande campo coltivato a mais e fagioli. Alcuni ragazzini li stanno cogliendo. Per noi è anche il primo incontro con un serpente velenoso che qui chiamano “sette passi”, perché se ti morde nessuno fa l’ottavo.
Al ritorno, troviamo ad aspettarci un brodo caldo. Per gli abitanti di Galiana, questo è il piatto più ricco che possono permettersi. Ce lo offrono senza chiedere nulla in cambio. La sera, prima dell’immancabile festa, incontriamo le donne del pueblo e la promotrice della salute che ci spiega quello che stanno facendo con i pochissimi mezzi a disposizione. Uno dei portavoce della comunià ci racconta de tentativi che il governo mette in atto per tentare di comprarli e di rinunciare all’autogoverno in cambio di animali e di medicine. “Ma sappiamo bene cosa si nasconde dietro questo offerte – spiega – e siamo tutti fortemente decisi a rifiutarle. La nostra libertà e la nosra dignità non sono merce di scambio”.
Altra notte, altro diluvio che viviamo sotto una tettoia approssimativa. Fa anche piuttosto freddo e siamo tutti bagnati.
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