In questo articolo si parla di:
“La differenza tra l’irrimediabile e il necessario,
è che al primo non bisogna prepararsi.
E solo la preparazione rende possibile determinare il secondo”
Don Durito della Lacandona.
Precedentemente, non solo in queste conferenze ma anche qui, abbiamo messo in evidenza il carattere bellicista del capitalismo.
Ora vorremmo aggiungere che la guerra non è solo un modo, sicuramente quello fondamentale, attraverso cui il Capitalismo si impone e si instaura nella periferia.
E’ anche un mercato in se stessa. Un modo di ottenere guadagni.
Paradossalmente, in pace è più difficile far crescere il mercato. E dico “paradossalmente”, perché si suppone che il capitale necessita di pace e tranquillità per svilupparsi. Forse così era prima, non lo so, ma quello che vediamo è che ora necessita della guerra.
Per questo, la pace è anti-capitalista.
Di questo si parla poco, men che meno in Messico, però il peso economico dell’industria militare e dei suoi giganteschi profitti (che riescono ogni volta ad ottenere che il potere nord-americano decida di “salvare” il mondo democratico da una minaccia fondamentalista...che non sia la sua, è chiaro), non è per niente irrilevante.
Per quanto riguarda gli aspetti teorici, come ha fatto presente Jean Robert alcune ore fa, secondo noi in maniera fondata, è necessario mettere in questione “i terreni” su cui una riflessione scientifica poggia i piedi. Pensiamo che il concetto di “guerra” delle analisi teoriche antisistemiche possa aiutare a rendere più solidi, quei terreni che sono ancora paludosi.
Però non si tratta solo di una questione teorica. Robert Fisk da una parte, e Naomi Klein dall’altra, hanno contribuito enormemente a togliere il velo che nascondeva la scenografia della guerra in Irak. Non da una scrivania o di fronte a un monitor che amministra l’informazione dei grandi monopoli mediatici, ma andando personalmente sul luogo dei fatti, entrambi arrivano alle stesse conclusioni.
Più o meno ci dicono: “Attenzione! Risulta che non si sta affatto liberando l’Irak dalla tirannia di Saddam Hussein, ma, semplicemente, si stanno ampliando i mercati. E addirittura anche l’apparente disfatta dell’invasione è un mercato”.
Vi consiglierò un libro. E’ questo. “La dottrino dello Shock. Il trionfo del Capitalismo del disastro”, di Naomi Klein. E’ un libro che vale la pena avere fra le mani. E tra l’altro è un libro molto pericoloso. Il pericolo sta nel fatto che si capisce quello dice.
Penso che Naomi Klein ha già messo a fuoco i punti centrali della pericolosità del suo pensiero, così che non lo ripeterò. Segnalo solo che tratta aspetti del funzionamento del sistema capitalista che vengono lasciati perdere o ignorati da non pochi teorici e analisti di sinistra nel mondo.
Don Pablo Gonzàles Casanova è un altro di quelli che hanno continuato a smontare le realtà, vecchie e nuove, del capitalismo in Messico e nel mondo, e ha uno sguardo generoso nel tempo, e rispettoso nell’analisi del nostro andirivieni zapatista.
Abbiamo qui due rappresentanti di due generazioni di analisi del sistema capitalista, seri, serie, brillanti, e in più hanno qualcosa che spesso si dimentica, in mezzo a teorie e intellettuali: sono pedagogici, cioè, si fanno capire.
Don Pablo Gonzales Casanova è un uomo saggio. E’ l’unico intellettuale che ho visto, con cui i compagni e le compagne parlano con confidenza. Io, che vivo con i nostri popoli da più di vent’anni e passa, so quanto è difficile guadagnarsi la loro confidenza.
A Naomi Klein regaliamo, insieme a Don Pablo, questa bambolina con il caracol. Suonando la conchiglia i nostri popoli richiamano alla collettività. Quando gli uomini sono nei campi di mais e le donne al lavoro, il caracol li richiama per riunirsi in assemblea ed è allora che diventano collettività. Per questo diciamo che è il “richiamo del noi”.
Anche la nostra ammirazione e il rispetto collettivo per Don Pablo sono personali. Io dico spesso che, quando sarò grande, voglio essere come Don Pablo Gonzàles Casanova. Devo aggiungere anche che è uno di quelli che provocano ricadute scioviniste e che ci fa dire che è un onore essere messicani.
Don Pablo, le regalo questo libro di Naomi Klein. Contiene nuovi elementi per capire i nuovi percorsi che sta seguendo il capitalismo. Glielo regalo perché io ne ho un’altra copia.
***
Vorrei approfittare dell’occasione per comunicarvi qualcosa.
Questa è l’ultima volta, a meno che non venga un tempo buono, che usciamo in pubblico per attività di questo tipo, mi riferisco alle conferenze, agli incontri, alle tavole rotonde, oltre che, naturalmente, alle interviste.
Alcuni fra quelli che hanno fatto da moderatori in queste conferenze collettive mi hanno presentato come il portavoce dell’EZLN, e stamattina ho letto che qualcuno si riferisce a me, oltre che come portavoce, come “ideologo” dello zapatismo. Ohlalà! “Ideologo”. Senta...è molto dolorosa come malattia?
Guardate, l’EZLN è un esercito. Parecchio altro, questo è certo, ma è un esercito.
E, oltre alla parte che volete vedere del Sub (voglio dire, oltre alle sue belle gambe), come portavoce, “ideologo” o quant’altro, credo che abbiate già l’età per sapere che il Sub è, oltretutto, il capo militare dell’EZLN.
Come da tempo non succedeva, le nostre comunità, le nostre compagne e nostri compagni, sono aggrediti. Certo, era già successo prima.
Però è la prima volta da quell’alba di gennaio del 1994 che la risposta sociale, nazionale e internazionale, è stata insignificante o nulla.
E’ la prima volta che queste aggressioni, senza pudore e rispetto, provengono da governi teoricamente di sinistra, o si perpetrano con l’appoggio senza riserve della sinistra istituzionale.
Sul giornale di oggi si può leggere che il personaggio più rappresentativo dei finqueros in Chiapas, di cui vi ho parlato ieri, il signor Constantino Kanter, è appena stato nominato funzionario di governo, per il PRD di Juan Sabines, in una posizione di potere da cui si possono tirar fuori senza problemi le risorse finanziarie per pagare i gruppi paramilitari.
E’ anche la prima volta che abbiamo trovato chiusi, a tarallucci e vino, quegli spazi mediatici attraverso cui la gente comune si rendeva conto di quello che stava succedendo nel nostro movimento, delle nostre riflessioni e dei nostri appelli.
Ma non solo.
Alcuni mesi fa, in occasione di una tavola rotonda a cui prendevamo parte a Città del Messico, una persona, di queste che formano le fila delle moderne “camìce grige” del lopezobradorismo (i cui mezzi leader sono dei cretini e i cui impiegatucci sono dello spessore di Jaime Avilès, del quotidiano La Jornada), ci ha chiamato in causa come zapatisti (c’eravamo la Comandanta Miriam, il Comandante Zebedeo e io), chiedendo con tono petulante e inquisitore, più o meno, perché non lasciavamo che la “gente progressista di questo paese avanzasse nella democratizzazione del Messico”. Così ha detto. Noi avevamo appena finito di riferire dettagliatamente una serie di fatti che fondavano la nostra presa di distanza dal PRD e dal lopezobradorismo, che, ovviamente, la signora benvestita non aveva minimamente ascoltato.
Alle nostre argomentazioni, quei 5 o 6 ambasciatori mandati lì risposero prima con delle menzogne (che l’Associazione Manuel Lopez Obrador si era distanziata dal governatore Sabines e dagli altri personaggi che si erano allineati a Felipe Calderòn, che la CND era anti-capitalista, e cose di questo tipo) e poi con il loro motto “è un orror, non star con Obrador”. Il Comandante Zebedeo mi chiese poi che cosa stessimo facendo lì e chi era questa gente che non ascoltava neanche quello che dicevamo.
Alcuni giorni dopo, quel microbo (con le mie scuse ai microbi) che presiede il Partito della Rivoluzione Democratica, Leonel Cota Montaño, ci accusò di aver provocato, con le nostre critiche, la sconfitta elettorale (così disse) di Lòpez Obrador alle elezioni presidenziali del 2006.
Già da prima, praticamente dal momento di inizio della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, il lopezobradorismo illuminato trovò aperti gli spazi per attaccarci pubblicamente, allo stesso tempo che si chiudevano per noi.
Ci hanno detto di tutto, in tutto questo tempo. Parafrasando Edmundo Valadez, “anche la merda fu permessa” e la cosiddetta intellettualità progressista e di sinistra disse, disegnò e scrisse cose che avrebbero fatto vergognare la stampa più reazionaria del nostro paese, ma che nella sinistra istituzionale e i suoi satelliti furono rapidamente ammesse.
Secondo le parole di un intellettuale di “sinistra”, dopo i brogli elettorali del 2006: “questa non gliela perdoniamo, a Marcos”.
Sto evidenziando un fatto semplice e dimostrabile. Un fatto che, tra l’altro, avevamo già previsto addirittura prima di quel 19 giugno 2005 in cui rendemmo pubblica la nostra Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, e a cui eravamo preparati.
Sono successi anche degli incidenti -soprattutto nell’ultimo viaggio per l’Incontro dei Popoli Indigeni d’America, che si è realizzato a Vicam, nello stato di Sonora- che ci danno degli avvertimenti.
Sappiamo e capiamo che pensiate che succedono cose solo se i media, o un media in particolare, ve ne informano. Vi comunico che non è così, è già abbastanza tempo che succedono molte cose che sono messe a tacere o ignorate.
Capiamo che le nostre posizioni non vengano accolte con la stessa apertura e tolleranza di alcuni anni fa.
Capiamo che si possa appoggiare e far pubblicità a una visione e a una posizione politica e che le si costruisca una “casetta”, per lasciar fuori qualsiasi messa in discussione o posizione dissidente.
Capiamo anche che, per alcuni media, facciamo notizia solo quando stiamo ammazzando o morendo, però, almeno per ora, preferiamo che restiate senza notizie, e cercare di andare avanti, per consolidare lo sforzo civile e pacifico di quello che ancora si chiama Otra Campaña, e allo stesso tempo, esser pronti a resistere, da soli, alla riattivazione delle aggressioni nei nostri confronti, sia da parte dell’esercito, della polizia o dei paramilitari.
Noi abbiamo fatto la guerra e sappiamo riconoscere i sentieri per i quali si prepara e avvicina.
I segnali di guerra all’orizzonte sono chiari.
Anche la guerra, come la paura, ha un odore.
E ora si inizia già a respirare il suo fetido odore, nelle nostre terre.
Secondo le parole di Naomi Klein, dobbiamo prepararci allo shock.
Per il resto, in questi due anni in cui siamo stati fuori, la nostra produzione teorica, riflessiva e analitica è stata più abbondante che nei 12 anni precedenti. Il fatto che non sia stata conosciuta nei media pubblici abituali, non significa che non esista. Lì ci sono le nostre soluzioni, se a qualcuno interessa discuterle, metterle in questione o confrontarle con quello che ora sta succedendo nel mondo e nel nostro paese. Forse, se vi sforzate un po’, ci troverete, messo come un avvertimento, quello che oggi è realtà.
Alla fine è così. Forse ora si capisce il tono da “ahì les encargo!” che hanno avuto le nostre partecipazioni.
***
Quando noi zapatiste e zapatisti parliamo, mettiamo, davanti a tutto, il cuore rosso che ci batte in petto collettivamente.
Capire quello che diciamo, facciamo e faremo, è impossibile se non si ascoltano le nostre parole.
Io so che i sentimenti non hanno un loro spazio nella teoria, quanto meno in quella che va avanti tra mille difficoltà.
So che è molto difficile sentire con la testa e pensare col cuore.
Che non sono poche le masturbazioni teoriche, cui ha dato origine la proposta stessa di questa possibilità, e che gli scaffali delle librerie e delle biblioteche sono pieni, a questo proposito, di intenti falliti o ridicoli.
Però insistiamo che la proposta è giusta, quello che non è giusto è il luogo nel quale la si vuole risolvere.
Perché per noi zapatisti il problema teorico è un problema pratico.
Non si tratta di promuovere il pragatismo o di tornare alle origini dell’empirismo, ma di mostrare chiaramente che le teorie non devono solo isolarsi dalla realtà, ma devono cercare in essa i “picconi” che a volte sono necessari, quando ci si trova in un vicolo cieco senza uscita concettuale.
Le teorie rotonde, complete, finite, coerenti, vanno bene per essere usate ad un esame professionale o per vincere premi, però di solito vanno in pezzi alla prima sferzata di vento della realtà.
A questo tavolo, abbiamo ascoltato luci e barlumi che a noi zapatiste, zapatisti, danno animo e respiro.
La mescolanza esplosiva di una conoscenza fatta sentimento, con cui ci ha illuminato e commosso John Berger; la lucida messa in questione senza concessioni di Jean Robert; le analisi concrete e implacabili di Sergio Rodriguez; la serena chiarezza delle riflessioni di Francois Houtart; la onesta storia di quello che è successo e succederà ad un movimento che noi, non solo rispettiamo, ma ammiriamo, come quello del Movimento dei Senza Terra, raccontata dal compagno Ricardo Gebrim; il pensiero pieno e avvolgente di Jorge Alonso; l’entusiasta descrizione di Peter Rosset; la brillante esposizione di Gilberto Valdez sulle discussioni teoriche che si danno in questo momento nella Cuba rivoluzionaria; le fertili provocazioni teoriche di Gustavo Esteva; la nobile lucidità di Sylvia Marcos; gli avanzamenti teorico-analitici di Carlos Aguirre Rojas; le luci di lungo respiro di Immanuel Wallerstein; e qualche momento fa, la saggezza fraterna e compagna di Don Pablo, e la inquietante luce sul cinismo capitalista di Naomi Klein.
Salutiamo anche i compagni e le compagne che hanno moderato le sessioni dell’incontro.
Il mio rispetto va a tutti coloro che hanno lavorato alla traduzione delle presentazioni, ed anche le mie scuse sincere per i problemi che possono aver loro recato i “modi” zapatisti di parlare del Signor Gufo, di Dicembre, la Magdalena ed Elias Contreras.
Senza dubbio, c’è anche qualcosa in più: non si vede che c’è, perché si vede quello che fa.
Mi riferisco alle compagne e ai compagni che hanno curato i suoni e le luci, che chiamiamo “sonori e lucenti”, e soprattutto a tutte le giovani e i giovani indigeni che studiano e lavorano qui al CIDECI con il Dottor Raymundo Sànchez Barraza.
Dato che abbiamo parlato dello sguardo, credo che il minimo che possiamo fare è non solo vedere il loro lavoro (fondamentalmente sono quelli che hanno reso possibile questo incontro), ma anche rivolgere lo sguardo verso di loro.
Un ringraziamento molto speciale e affettuoso anche alla squadra di appoggio della Commissione Sesta dell’EZLN. Grazie Jiulio. Grazie Roger.
So che siete stupiti che stia dicendo tutto questo, perchè ancora mancano l’omaggio ad Andrés Aubry di domani e la dichiarazione-cerimonia del suo dottorato.
Per questo, domani verso mezzogiorno, arriveranno le mie cape e i miei capi del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno della zona de Los Altos, insieme alle autorità autonome e alle commissioni di lavoro della Giunta di Buon Governo di Oventik.
A loro passerà dunque domani la nostra parola e, come in questo momento attraverso la mia, attraverso la loro voce parleremo tutta la collettività che siamo.
***
Come ultima parte della nostra estesa partecipazione a questo incontro, vorrei spiegare quello che vorremmo mettere in evidenza con il titolo generale dell’incontro, “Né il centro, né la periferia”.
Noi pensiamo che non si tratta solo di evitare i trabocchetti e le concezioni, in questo caso teoriche e analitiche, che il centro pone e impone alla periferia.
Non si tratta nemmeno di capovolgere, scambiare il centro gravitazionale verso la periferia, e da lì “irradiare” verso il centro.
Crediamo, al contrario, che questa teoria altra, di cui sono state presentate qui alcune linee generali, deve rompere anche con la logica del centro e la periferia, radicarsi nelle realtà che irrompono, che emergono, e aprire nuovi percorsi.
Se questo tipo di incontri si ripeterà, credo che sarete d’accordo con me sul fatto che la presenza dei movimenti antisistemici, come questa volta il Movimento dei Senza Terra dal Brasile, sono particolarmente arricchenti.
Bene, credo che è tutto.
Ah! Prima che me ne dimentichi: ahì les encargo.
Molte grazie a tutte, a tutti.
Subcomandante Insurgente Marcos.
San Cristòbal de Las Casas, Chiapas, Mexico.
Dicembre 2007.