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IV. GUSTARE IL CAFFE’.

IL CALENDARIO E LA GEOGRAFIA DELLA TERRA.

Associazione Ya Basta Caminantes

In questo articolo si parla di:

  • 652/652 Messico

“La terra, l’indigeno la vede come madre.
Il capitalista come qualcosa che non ha la proprietà di se stessa”.
Don Durito della Lacandona

Alcuni aneddoti poco scientifici.
Ieri, verso mezzogiorno, è arrivato Daniel Viglietti con il suo gruppo. Come tutti sanno, è un cittadino dell’America Latina de abajo, che viaggia con passaporto uruguayano e una chitarra sovversiva. Ci sono state musica e parole. Con lui, abbiamo mandato i nostri saluti a Mario Benedetti, un altro fra i colpevoli di frustrare la mia carriera come musicista di ritmi sconcertanti. Viglietti ci ha raccontato che Eduardo Galeano, il raccoglitore delle piogge della memoria de abajo, si è ammalato, ma già si sente meglio. A Don Eduardo abbiamo mandato i nostri auguri e, nel caso di una ricaduta, gli abbiamo offerto ospitalità nella Clinica di Oventik, dove non abbondano le medicine, ma sicuramente l’allegria zapatista color del caffè, che non cura, però allevia.
Non è per vantarci, però Viglietti ed io abbiamo composto insieme alcuni versi per una delle sue canzoni e, in più, abbiamo anche fatto un duetto, cioè lui cantava e io gli tenevo il quaderno con gli appunti. La tenenta insurgente ci ha accompagnato nei cori e conosceva tutte le canzoni senza bisogno di quaderni. Giunta l’ora delle confessioni inconfessabili, lui ha saputo che io, per questi scherzetti della geografia de abajo, in realtà sono un uruguayano nato in Chiapas. C’erano anche Raùl Sendic e il mio generale Artigas, però non sono autorizzato a rivelarlo. E solo per un po’, si è aggiunto anche il Che, taccagno e burlone rispetto ad alcuni versi sui sogni e l’alba.
Quando siamo arrivati al momento di “A Desalambrar” , Daniel ci ha spiegato che quando l’ha cantata per la prima volta a suo padre, lui gli ha fatto notare le conseguenze che ci potevano essere a cantarla nei campi: “Se si tolgono le recinzioni, succederà un casino, Daniel, perché le bestie scapperanno chissà dove o andranno a combinare guai” gli disse il padre, più o meno. E’ allora che io gli ho raccontato una piccola parte di quello che adesso vi racconterò in maniera un po’ più estesa.
Dalle parti del Caracol de La Garrucha, nella zona Selva-tzeltal (che è dove si celebrerà l’Incontro delle Donne Zapatiste con le Donne del Mondo, gli ultimi giorni di questo mese di dicembre), prima della nostra sollevazione esistevano varie fincas, come vengono chiamate dai compagni le grandi proprietà terriere.
Ubicate nei terreni migliori delle valli della selva Lacandona, con abbondante acqua, terreni pianeggianti e fertili, strade vicine, piste di atterraggio private, queste proprietà si estendevano per migliaia di ettari ed erano destinate quasi esclusivamente all’allevamento estensivo di bestiame.
I grandi alberi: ceibas, huàpacs, cedri, caobas, ocotes, hormiguillos, bayaltè, nogales...furono abbattuti per lasciar spazio ai bovini, che facevano la fortuna delle associazioni di allevatori, degli ambasciatori della carne, dei commercianti e dei governi di ogni genere e grado.
Gli indigeni (zapatisti, non zapatisti e anti-zapatisti) erano stati relegati sulle pendici della sierra e in cima alle montagne, su terreni pietrosi, sempre molto scoscesi. Lì dovevano ricavare le loro coltivazioni di caffè, nelle piccole radure che la montagna, generosa con i suoi custodi, apriva di tanto in tanto nei suoi anfratti irregolari. Le coltivazioni di mais crescevano tra pietre e spine, aggrappandosi come potevano alle ripide coste che cadevano a piombo, come se la montagna si fosse stancata di stare in piedi e d’improvviso si fosse lasciata cadere, così, per mettersi a sedere sulle terre dove il padrone spadroneggiava e il “signore con forca e coltello” non era una immagine letteraria.
Nelle piccole coltivazioni di caffè lavorava tutta la famiglia. Persone anziane, uomini, donne, bambine e bambini raccoglievano il caffè, lo lavavano, lo mettevano a seccare, lo preparavano e lo stipavano in grandi sacchi di tela chiamati pergamino. Per commercializzarlo, gli stessi anziani, uomini, donne e bambini dovevano caricarlo, se avevano un po’ di fortuna, sulle loro bestie. Ma siccome c’era anche scarsità di bestie, gli anziani, uomini, donne e bambini stessi erano le bestie che, sulle loro spalle, portavano 30, 40 kg di caffè pergamino. Per 2 o 3 giornate, di 8 o 10 ore di cammino ciascuna. Arrivavano al bordo della strada e aspettavano un carro (che è così che viene chiamato un camion da tre tonnellate), che gli faceva pagare l’equivalente di 10 o 15 kg del caffè che avevano portato sulla schiena.
All’arrivo dei veicoli nella città, i coyote (che così vengono chiamati dai compagni gli intermediari) si sbracciavano facendo offerte e praticamente assaltavano gli indigeni, li ingannavano sul peso e il prezzo del caffè, approfittando del fatto che sapevano poco o niente di spagnolo. La constatazione di essere ingannati si scontrava contro gli argomenti del coyote: “se non vuoi, torna indietro”. La misera paga guadagnata finiva nelle cantine e nei bordelli, che nel periodo della raccolta del caffè vivevano la loro “stagione” migliore.
Tra una raccolta del caffè e l’altra, gli indigeni, uomini, donne e bambini, dovevano lavorare nelle coltivazioni di mais, sulle montagne, ed essere assunti a giornata nelle grandi proprietà che dominavano nelle valli scavate dai fiumi Jatatè e Perlas nel sud-est messicano.
I finqueros, così i compagni chiamano i grandi proprietari, hanno copiato tutti lo stesso padrone, per edificare le loro proprietà. La Casa Grande, cioè la casa in cui il finquero abitava nei giorni in cui era nelle sue proprietà, era fatta di mattoni, ampia e circondata da grandi porticati. A lato stava la cucina. E poi un ampio terreno recintato da pali di ferro. Fuori dal recinto che marcava il limite dello spazio del “signore”, vivevano i peones con le loro famiglie, in case di terra, legno e tetto di paglia. Allo spazio della “Casa Grande”, cioè all’interno del recinto di pali di ferro, potevano accedere solo il fattore, o capataz, e le donne che si occupavano della cucina e della pulizia della casa e delle cose del signore. Di notte, e quando la signora del “signore” non c’era, entravano anche le ragazze in età da marito, sulle quali il finquero esercitava il cosiddetto “diritto di pedata” (che consisteva nel diritto del “signore” di togliere la verginità alla donna, poco prima che si sposasse).
Io so che sembra che vi stia raccontando un romanzo di Bruno Traven o che stia parlando di un testo della fine del XIX secolo, ma il calendario in cui accadeva tutto ciò segnava dicembre dell’anno 1993, appena 14 anni fa.
I peones indigeni non avevano solo piantato i pali di ferro che li separavano dal “signore”, costruivano anche le recinzioni dei grandi terreni in cui pascolavano le bestie, che in seguito sarebbero finite sulla tavola dei ricchi, come filetti succulenti e arrosti ricercati, a San Cristòbal de Las Casas, a Tuxla Gutierrez, a Comitàn, a Città del Messico.
Il recinto di ferro non serviva solo per controllare le bestie del finquero. Era anche, e soprattutto, un segnale di status, una linea geografica che separava due mondi: quello del caxlàn o ricco bianco, e quello dell’indigeno.
Con metodi che farebbero vergognare la Border Patrol e la Minutteman, i grandi proprietari hanno creato ed applicato la propria legge doganale: se un animale, dei pochi che erano di proprietà dei peones, attraversava il confine del terreno del padrone, diventava di sua proprietà e il “signore” poteva fare di lui ciò che voleva: ammazzarlo e lasciarlo agli avvoltoi, ammazzarlo e portarlo alla propria tavola, segnarlo con il proprio marchio, o regalarlo al capataz, perché a sua volta ne facesse ciò che voleva. Al contrario, se qualche animale del “signore” attraversava la linea dei terreni del popolo, doveva essere restituito ai terreni del finquero e, se succedeva qualche incidente, il popolo lo doveva pagare e in più doveva restituire l’animale ferito o morto alla finca.
Io so che mi sto dilungando molto, per spiegare qualcosa di molto semplice: la proprietà della terra apparteneva, prima della nostra sollevazione, ai grandi proprietari o finqueros, che per certo sono il settore più retrogrado tra i potenti. Se qualcuno vuol conoscere veramente come pensa e agisce la ultra-destra reazionaria, chiacchieri con un finquero chiapaneco. E vi passo il nome di uno di loro che, per lo meno fino a poco tempo fa, era uno degli alleati di Andrès Manuel Lopez Obrador in Chiapas, e che insieme alla Crocchette Albores e al PRD portò al potere Juan Sabines (quello che ha relegato prima in un bordello dismesso, e poi in un magazzino di caffè, le famiglie zapatiste fatte sgomberare alcuni mesi fa dai Montes Azules – di fatto senza che gli intellettuali progressisti dicessero una parola di protesta). Il nome del finquero è Constantino Kanter, e fu l’autore di quella famosa frase, detta quando il calendario segnava il mese di maggio dell’anno 1993: “In Chiapas vale di più un pollo che la vita di un indigeno”.
Però non insistiamo su questo, perché è risaputo che la memoria de arriba è selettiva, e ricorda e dimentica secondo quello che le conviene nel calendario e nella geografia.
Si dà il caso però che accadde qualcosa. Non so se lo sapete, però ve lo dirò, perché sembra che qualcuno non lo sa o l’ha dimenticato, o quanto meno si comporta come se non lo sapesse. Bene, si dà il caso che il primo di gennaio del 1994 alcune migliaia di indigeni si sono alzate in armi contro il supremo governo.
Voi non ci crederete, ma è successo qui, in questa geografia e in questo calendario. E dicono, bisognerà confermarlo, che si sono auto-denominati “Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale” e che hanno usato dei passamontagna per coprirsi il viso, come per mettere in evidenza che non erano nessuno.
Secondo alcuni resoconti dei giornali di quel calendario, gli insorti hanno preso simultaneamente 7 città. Sembra, non sono molto sicuro, che una di queste città che sono cadute in mano ai ribelli era questa superba città di San Cristòbal de Las Casas.
Hanno combattuto contro l’esercito federale e il governo centrale di allora, che era capeggiato da Carlos Salinas de Gortari ed era formato da vari personaggi che oggi è possibile ritrovare tra le fila del PRD e della CND lopezobradorista, e che li ha catalogati come “trasgressori della legge” (sicuramente per aver trasgredito la legge di gravità, secondo cui ciò che sta abajo non deve alzarsi).
Vi prego di notare che noi non stiamo parlando di persone con cui abbiamo delle differenze di strategia o di tattica, o di concezione delle riforme o della rivoluzione. Stiamo parlando dei nostri persecutori, dei nostri schiavisti, dei nostri assassini. Se avessimo tradito i nostri morti e se avessimo appoggiato la supposta alternativa alla destra, ora ci troveremmo in un baratro e in una frustrazione simile a quelli che ha descritto il compagno Ricardo Gebrim, del Movimento dei Senza Terra, in Brasile.
Questa mattina ho letto che l’aberrazione giuridica che, violando la costituzione, permette la legalità del fascismo (come ha opportunamente segnalato ieri Don Jorge Alonso), è stata favorevolmente votata da deputati di tutte le tribù e le correnti del PRD, comprese quelle affini o dipendenti da Andrès Manuel Lòpez Obrador. Odio dirvi che ve l’avevo detto, però ve l’avevo detto. Quelli che chiusero gli occhi, nel tentativo di arginare la destra, ora si trovano nel baratro e nella frustrazione. Noi, uomini e donne, che siamo riusciti ad intuire quello che sta succedendo ora, abbiamo...un’altra cosa.
Alla fine, è qualcosa che bisognerà investigare nelle biblioteche e nelle emeroteche, da cui dovrebbe venir fuori il lavoro teorico serio.
Quello che vorrei raccontarvi è ciò che è successo qui nello stesso calendario, però in un’altra geografia, che non è quella delle città, cioè nella geografia delle fincas.
Risulta che, non è proprio sicuro, però ci sono indizi che è andata così, gli insorti si erano preparati con molto tempo di anticipo, ed hanno elaborato persino alcuni regolamenti o memorandum, chiamati “Leggi Rivoluzionarie”. Una di queste, la cosiddetta “Legge Rivoluzionaria delle Donne”, è stata già menzionata qui da Sylvia Marcos qualche giorno fa. Lei è una ricercatrice seria, quindi è molto probabile che, in effetti, siano esistite (e forse esistono ancora) queste famose leggi.
Bene, un’altra di queste leggi è stata chiamata, o si chiama, “Legge Agraria Rivoluzionaria”.
Anche se non tutti gli studiosi teorici che si rispettano lo fanno, mi sono preso la briga di fare una ricerca e, da qualche parte, ho trovato qualcosa che gli intellettuali progressisti chiamano “pamphlet” e che sembra un giornaletto, di questi che vengono fatti dai piccoli gruppi radicali e marginali. Si chiama “Il Risveglio Messicano. Organo Informativo dell’EZLN”, si tratta del primo numero (ignoro se ci siano dei numeri successivi) ed è datato dicembre 1993, esattamente 14 calendari fa.
Lì dentro ho trovato quello che vi sto raccontando e dice, alla lettera (rispetto la redazione originale solo per evidenziare che questi insorti non avevano nessun consigliere teorico rispettabile e conosciuto, e per far vedere che erano chiaramente degli indigeni medi, o che erano andati a chiedere alla loro gente – persone senza nessuna preparazione, evidentemente – quello che dovevano scrivere):

Legge Agraria Rivoluzionaria:
La lotta dei contadini poveri in Messico continua a chiedere la terra per coloro che la lavorano. Dopo Emiliano Zapata e contro la riforma dell’articolo 27 della Costituzione Messicana, l’EZLN riprende la giusta lotta contadina messicana per la terra e la libertà. Con il fine di regolamentare la nuova ripartizione agraria, che la rivoluzione comporta nelle terre messicane, si redige la seguente LEGGE AGRARIA RIVOLUZIONARIA.
Primo – Questa legge ha validità su tutto il territorio messicano e beneficia tutti i contadini poveri e i giornalieri agricoli messicani, senza distinzione di filiazione politica, di credo religioso, sesso, razza o colore.
Secondo – Questa legge riguarda tutte le proprietà agricole e le imprese agropecuniarie nazionali o straniere all’interno del territorio messicano.
Terzo – Saranno soggette alla legge agraria rivoluzionaria tutte le estensioni di terra che eccedano i 100 ettari in condizioni di cattiva qualità e i 50 ettari in condizioni di buona qualità. Ai proprietari le cui terre eccedano i limiti sopra menzionati verranno tolti gli eccedenti e rimarrano con il minimo, permesso da questa legge, potendo continuare come piccoli proprietari o unirsi al movimento contadino delle cooperative, alle società contadine o alle terre comunali.
Quarto - Non saranno soggette alla legge agraria le terre comunali, gli usi civici, o le terre tenute da cooperative popolari, anche se eccedano i limiti menzionati nell’articolo terzo di questa legge.
Quinto – Le terre confiscate per effetto di questa legge verranno ripartite tra i contadini senza terra e i giornalieri agricoli, che le gestiranno così: in PROPRIETA’ COLLETTIVA per la formazione di cooperative, società contadine o collettivi di produzione agricola e allevamento. Queste terre dovranno essere lavorate collettivamente.
Sesto – Hanno DIRITTO PRIMARIO di richiedere la terra i collettivi di contadini poveri senza terra e i giornalieri agricoli, gli uomini, le donne e i bambini, che comprovino debitamente di non possedere nessuna terra o di possedere terra di cattiva qualità.
Settimo – Per lo sfruttamento della terra a beneficio dei contadini poveri e dei giornalieri agricoli la confisca dei grandi latifondi e dei monopoli agropecuniari includerà i mezzi di produzione, come i macchinari, i fertilizzanti, i magazzini, le risorse finanziarie, i prodotti chimici e gli strumenti tecnici.
Tutti questi mezzi devono passare in mano ai contadini poveri e ai giornalieri agricoli, con speciale attenzione ai gruppi organizzati in cooperative, collettivi e società.
Ottavo – I gruppi beneficiari di questa Legge Agraria dovranno dedicarsi preferibilmente alla produzione collettiva di alimenti necessari al popolo messicano: mais, fagioli, riso, ortaggi e frutta, così come all’allevamento di vacche, api, bovini, maiali e cavalli, e alla produzione dei loro derivati (carne, latte, uova ecc...).
Nono – In tempo di guerra, una parte della produzione delle terre soggiacenti a questa legge verrà destinata al sostentamento degli orfani e delle vedove dei combattenti rivoluzionari e al sostentamento delle forze rivoluzionarie.
Decimo – L’obbiettivo primario della produzione collettiva è quello di soddisfare le necessità del popolo, formare nei beneficiari una coscienza collettiva del lavoro e del beneficio, e creare unità di produzione, difesa e mutuo aiuto nel territorio messicano. Se in una regione non si produce un qualche bene, lo si scambierà con un’altra regione dove viene prodotto, in condizioni di giustizia e uguaglianza. Le eccedenze di produzione potranno essere esportate in altri paesi, se non ci sarà una domanda nazionale per il prodotto.
Undicesimo – Le grandi imprese agricole saranno espropriate e passeranno nelle mani del popolo messicano, e saranno amministrate collettivamente dagli stessi lavoratori. I macchinari agricoli, gli strumenti da lavoro, le sementi ecc... che vengano trovati inutilizzati nelle fabbriche, nei negozi o in altri luoghi, saranno distribuiti tra i collettivi rurali, al fine di far produrre la terra in maniera estensiva e di sradicare la fame del popolo.
Dodicesimo – Non si permetterà l’accaparramento individuale di terre e mezzi di produzione.
Tredicesimo – Si preserveranno le zone della selva vergine e dei boschi e si faranno campagne di reforestazione nelle zone principali.
Quattordicesimo – Le fonti d’acqua, i fiumi, i laghi e i mari sono di proprietà collettiva del popolo messicano e verranno custoditi, evitando la contaminazione e castigando il cattivo uso.
Quindicesimo – A beneficio dei contadini poveri, dei senza terra e degli operai agricoli, oltre alla ripartizione agraria che questa legge stabilisce, si creeranno centri di commercio che comprino a un prezzo giusto i prodotti del contadino e vendano a un prezzo giusto le merci di cui il contadino ha bisogno per una vita degna. Si creeranno centri di salute comunitaria con tutti i mezzi della medicina moderna, con dottori ed inferniere preparati e coscienti, e con medicinali gratuiti per il popolo. Si creeranno centri di divertimento perchè i contadini e le loro famiglie si riposino in modo degno senza cantine né bordelli. Si creeranno centri di educazione e scuole gratuite dove i contadini e le loro famiglie possano ricevere un’educazione senza distinzioni di età, sesso, razza o filiazione politica e dove possano apprendere la tecnica necessaria al loro sviluppo. Si creeranno centri per la costruzione di abitazioni e strade, con ingegneri, architetti e i materiali necessari affinchè i contadini possano avere una casa degna e buone strade per il trasporto. Si creeranno centri di servizi per garantire che i contadini e le loro famiglie abbiano luce elettrica, acqua corrente e potabile, un sistema di drenaggio dell’acqua, radio, televisione, oltre a tutto ciò che è necessario per facilitare il lavoro nella casa, stufa, frigorifero, lavatrice, macinino ecc...
Sedicesimo – Non ci saranno tasse per i contadini che lavorano collettivamente, né per i soci di terreni comunali, cooperative e usi civici. A PARTIRE DAL MOMENTO DI EMISSIONE DI QUESTA LEGGE AGRARIA RIVOLUZIONARIA NON VENGONO RICONOSCIUTI VALIDI I DEBITI CHE I CONTADINI POVERI E GLI OPERAI AGRICOLI HANNO CONTRATTO CON IL GOVERNO OPPRESSORE, CON L’ESTERO O CON I CAPITALISTI, PER MEZZO DI CREDITI, TASSE O PRESTITI.

Con questo sedicesimo articolo termina questa legge. Ci sono altre leggi, ma riguardano altre cose, o altri casi, vedete voi...Vorrei farvi notare la mancanza di prospettiva di questi trasgressori della grammatica e del buon gusto, dato che non compare nessun riferimento al libero commercio né alle comodità agricole che, dio salvi il signor Monsanto, il capitalismo ha felicemente portato nel mondo.
Alla fine sembra che, nei territori che i ribelli sono riusciti a controllare, questa legge sia stata applicata e che i finqueros siano stati cacciati dalle loro grandi proprietà, e che queste terre siano state ripartite tra gli indigeni che, si racconta, per prima cosa abbatterono le recinzioni di ferro che proteggevano le case dei grandi proprietari.
Raccontano anche che abbiano perpetrato questo attentato contro la proprietà privata, cantando la canzone “A Desalambrar”, il cui autore è un tale Daniel Viglietti (lo stesso che è stato rivisto qualche ora fa in questa geografia, accompagnato da gente di dubbia reputazione – varie persone presenti si coprivano il volto, cosa che non lascia dubbi sul fatto che avevano qualcosa da nascondere).
Secondo le dicerie, alcuni anni più tardi gli insorti hanno creato le loro proprie forme di auto-governo ed hanno formato le cosiddette “commissioni agrarie”, per vigilare la ripartizione delle terre e il compimento di questa legge.
Quello che sappiamo per certo è che non sono poche le difficoltà che hanno incontrato e incontrano, e che le risolvono secondo le proprie facoltà e i propri mezzi, invece di ricorrere ad assessori, specialisti e intellettuali che dicano loro quel che devono fare, come devono farlo e che valutino ciò che hanno o non hanno fatto.
C’è un altro dato, scandaloso come pochi. Secondo fonti affidabili, che non possono essere rivelate perché usano il passamontagna, una mattina presto come le altre, all’alba, questi uomini, donne, bambini e anziani si sono scoperti il volto ed hanno cantato e ballato, sempre al suono di ritmi che non trovano posto in una catalogazione conosciuta. Dicono che sapevano di non essere meno poveri di prima e di avere problemi di ogni tipo, tra cui quello della morte, per cui non conosciamo il motivo, la causa o la ragione della loro allegria.
Secondo le ultime informazioni, continuano a ballare, cantando e ridendo da 14 calendari, e dicono che è perché nelle loro terre c’è già un’altra geografia. Questo dimostra solo che sono degli ignoranti, perché le mappe e le carte topografiche del INEGI non registrano nessun cambiamento nel territorio di questo stato sud-orientale messicano che si chiama Chiapas.

***

Risposte semplici a domande complesse.

“L’alba è la regione più Che Guevara dei sogni”
Daniel Viglietti.

Prima domanda: Ci sono cambiamenti fondamentali nella vita delle comunità indigene zapatiste?
Prima risposta: Sì.

Seconda domanda: Questi cambiamenti si sono dati a partire dalla sollevazione del primo gennaio del 1994?
Seconda risposta: No.

Terza domanda: E allora da quando?
Terza risposta: Quando la terra passò ad essere proprietà dei contadini.

Quarta domanda: Vuole dire che fu quando la terra passò nelle mani di chi la lavora, che si svilupparono i processi che si possono osservare ora nei territori zapatisti?
Quarta risposta: Sì. Il miglioramento di governo, salute, educazione, casa, alimentazione, partecipazione delle donne, commercio, cultura, comunicazione e informazione ha come punto di partenza il recupero dei mezzi di produzione, in questo caso la terra, gli animali e le macchine che erano in mano ai grandi proprietari.

Quinta domanda: La legge agraria rivoluzionaria fu applicata in tutti i territori su cui gli zapatisti dicono di avere il controllo?
Quinta risposta: No. Per caratteristiche sue proprie, nella zona de Los Altos e nella zona Nord del Chiapas questo processo è stato minimo o inesistente. C’è stato solo nella zona della Selva Tzeltal, Tzotz Choj e della Selva Fronteriza. Però i cambiamenti si sono estesi a tutte le zone, per i ponti sotterranei che uniscono i nostri popoli.

Sesta domanda: Perché sembra sempre che siete contenti, anche se ci sono errori, problemi, minacce?
Sesta risposta: Perché, con la lotta, abbiamo recuperato la capacità di decidere il nostro destino. E questo comprende, tra le altre cose, il diritto di sbagliarci anche noi.

Settima domanda: Da dove tirate fuori questi strani ritmi che cantate e ballate?
Settima risposta: Dal cuore.

Grazie e ci vediamo nella notte.

Subcomandante Insurgente Marcos.
San Cristòbal de Las Casas, Chiapas, Mexico.
Dicembre 2007.

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