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II. ASCOLTARE IL GIALLO.

IL CALENDARIO E LA GEOGRAFIA DELLA DIFFERENZA.

Associazione Ya Basta Caminantes

In questo articolo si parla di:

  • 674/674 Messico

“Il pericolo delle differenze è che poi finiscono per assomigliarsi molto tra di loro”.
Don Durito della Lacandona.

La lotta delle donne, dal centro alla periferia?

Poco fa, abbiamo parlato del pensiero de arriba, in cui esiste un abisso tra la teoria e la realtà; ed anche della bulimia teorica annessa, che si trasforma in moda per una parte dell’intellettualità progressista. Ora vorremmo soffermarci su quel punto della geografia pretesamente scientifica, che è il centro, dove cade la pietra concettuale - cioè la moda intellettuale - e si producono le onde che modificheranno la periferia.

Il fatto è che queste teorie e pratiche, che sono sorte nel centro e che si estendono verso la periferia, non si limitano a condizionare i pensieri e le pratiche di quelle parti, ma soprattutto si impongono come verità e modelli da seguire.
Abbiamo già parlato della comparsa di nuovi attori o soggetti sociali, e abbiamo menzionato le donne, i giovani e gli amori diversi. Bene, su questi “nuovi” protagonisti della storia quotidiana sorgono nuove elaborazioni teoriche che, sempre nel centro emissore, si traducono in pratiche politiche ed organizzative.

Nel caso della lotta di genere o, più specificamente, nel femminismo, succede la stessa cosa. In una metropoli si elabora una concezione di ciò che è, del suo carattere, del suo obbiettivo, delle sue forme e del suo destino. Da lì si esporta ai punti della periferia, che a loro volta sono centri di altre periferie. Questo trasferimento non si dà senza problemi, né senza inceppamenti, proprio per le differenze geografiche. E non si dà nemmeno, paradossalmente, in termini di equità. E dico “paradossalmente” perché una delle peculiarità essenziali della lotta di genere è la sua domanda di equità, equità di genere.

Spero che i compagni e le compagne che portano avanti questa lotta, e che mi stanno ascoltando o leggendo, scuseranno il riduzionismo e il semplicismo con cui sto toccando questo punto. E non è perché voglio salvare il mio machismo, tanto naturale e spontaneo, sul serio, ma perché in questo momento non ci stiamo riferendo agli sforzi che tutti loro stanno portando avanti. Non stiamo dicendo neanche che i loro progetti non possano esser messi in questione. Anzi, possono esser messi in questione in più di un aspetto, però ci stiamo riferendo qui ad un’altra lotta di genere, ad un altro femminismo: quello che viene dall’alto, dal centro alla periferia.

Tra qualche giorno, le donne zapatiste celebreranno un incontro, in cui ci sarà uno spazio unico per le loro esperienze e le loro parole, perciò non mi dilungherò troppo su questo tema. Tuttavia, vorrei raccontarvi la breve storia di un mancato incontro.
Nei primi mesi che seguirono la nostra sollevazione, un gruppo di femministe (così si sono auto-denominate) arrivò in alcune comunità zapatiste. No, non sono venute a fare domande, ad ascoltare, a conoscere, a rispettare. Sono venute a dire quello che dovevano fare le donne zapatiste, a liberarle dall’oppressione dei maschi zapatisti (incominciando, naturalmente, col liberarle dal Sub), a dire quali erano i loro diritti…insomma sono venute a comandare.
Si sono messe a fare la corte a quelle che consideravano essere le cape (certamente, sia detto di passaggio, con metodi molto maschili). Attraverso di loro hanno poi cercato di imporre, da fuori, nella forma e nel contenuto, una lotta di genere che non si erano neanche soffermate a verificare se esistesse o no, e in che grado, nelle comunità indigene zapatiste.

E non si sono nemmeno fermate a vedere se erano state ascoltate e comprese. No, la loro missione “liberatrice” era stata compiuta. Sono tornate alle loro metropoli, a scrivere articoli per qualche giornale o rivista, a pubblicare libri, a viaggiare all’estero con le spese pagate, a fare conferenze, a coprire incarichi di governo…
Ma non vogliamo discutere di questo, ognuno si fa le vacanze come può. Vogliamo solo ricordare che non hanno lasciato un segno nelle comunità, né hanno apportato alcun beneficio alle donne.
Questo mancato incontro iniziale segnò le successive relazioni tra le donne zapatiste e le femministe, e portò a uno scontro sotterraneo che, naturalmente, le femministe attribuirono al machismo verticale e militarista dell’EZLN. Si arrivò addirittura al punto che un gruppo di “comandante” si oppose ad un progetto sui diritti della donna. Il fatto è che si volevano dare alcuni corsi, pensati da donne di città e tenuti da donne di città, il cui impatto sarebbe stato valutato da donne di città. Le compagne si opponevano, volevano essere loro a decidere i contenuti, loro a impartire i corsi e loro a valutare i risultati e ciò che ne sarebbe seguito.
Gli effetti di questo scontro li potrete conoscere se assisterete all’incontro al “Caracol de La Garrucha”, e dalle labbra stesse delle donne zapatiste ascolterete questa e altre storie. Arrivare con la disposizione e il desiderio di comprendere, vi aiuterà forse a capire meglio. Forse, come Sylvia Marcos in Israele con le donne beduine, capirete che le donne zapatiste (come molte donne in molti angoli del mondo) trasgrediscono le regole senza rinnegare la propria cultura; si ribellano come donne, senza smettere di essere indigene ed anche, non bisogna dimenticarlo, senza smettere di essere zapatiste.

Alcuni anni fa un giornalista mi raccontò che aveva incontrato per la strada una signora zapatista e che le aveva dato un passaggio fino al paese. “Camminava in uniforme, o con i pantaloni, o con gli stivali?”, gli domandai preoccupato. E il giornalista rispose: “No, aveva una tunica , una camicetta ricamata ed era scalza. E poi portava suo figlio sulla schiena, nello scialle”. “Come ha capito, allora, che era zapatista?” insistetti io. Il giornalista mi rispose con naturalezza: “E’ facile, le donne zapatiste camminano in modo differente, stanno ferme in modo differente, guardano in modo differente”. “E come?” ripetei. “Beh…come zapatiste” disse il giornalista e tirò fuori il suo registratore per domandarmi della proposta di dialogo del governo, delle prossime elezioni, dei libri che ho letto e di altre cose altrettanto assurde.

Comunque, bisogna segnalare che questa distanza si è andata poco a poco accorciando grazie al lavoro e alla comprensione delle nostre compagne femministe della Otra Campaña, in particolare delle nostre compagne della Otra Jovel.
Secondo la mia visione machista, da tutte e due le parti si è capita la differenza tra le une e le altre, e così è iniziato un mutuo riconoscimento che si trasformerà in qualcosa di estremamente altro, e che sicuramente farà tremare non solo il sistema patriarcale nel suo insieme, ma anche quelli come noi che stiamo appena intendendo la forza e il potere della differenza, e che ci porta a ripetere (anche se in un altro senso) “Vive la difference!”, Viva la differenza!

Da questa tensione, che a poco a poco si converte in legame e ponte, verranno fuori un nuovo calendario e una nuova geografia. Dove la donna, nella sua uguaglianza e differenza, abbia il posto che si sarà conquistata con questa sua lotta, la più pesante, la più complessa e la più continua di tutte le lotte antisistemiche.
***
I nostri saggi più anziani raccontano che gli dèi più primigeni, quelli che nacquero il mondo, fecero il colore giallo dalle risate delle bambine e dei bambini. Ricordando questa cosa, abbiamo deciso di raccontarvi un racconto per bambini, e i grandi se lo dovranno sorbire perché…perché…beh, perché starebbe molto male uscire prima che sia terminata questa sessione di conferenze. Perciò, se volete uscire, vi prego di non essere scortesi e di farlo con discrezione, così che gli organizzatori non se la prendano troppo a male.
Bene, per quelli che vogliono rimanere, questo è il racconto…
La storia di Dicembre l’ho già raccontata in passato, per cui la ripeterò solo brevemente. Dicembre era una bambina, così… piccolina. Era nata nel mese di novembre ma, siccome i suoi genitori parlavano solo la lingua indigena, successe un casino quando la portarono a registrare. Il notaio li tempestava di domande, una dietro l’altra… dove era nata, quando era nata, in che mese erano (il fatto è che era ancora mezzo sbronzo dalla sera prima) e cose così. Sua madre stava giusto rispondendo che erano nel mese di dicembre, quando quello del registro civile tornò alla domanda di prima, cioè come si sarebbe chiamata la bambina. “Dicembre”, sentì dire il notaio e così al diavolo Roma, perché quando se ne accorsero era un casino mettersi a cambiare le carte. E fu così che questa bambina che era nata a novembre si chiamò “Dicembre”. Secondo gli usi e costumi degli adulti, quando si rimprovera una bambina o un bambino, non ci si ricorda mai del suo nome, e si incominciano a dire vari nomi fino a quando non ci si azzecca. Nel caso di Dicembre, i rimproveri erano meno ferrei, perché la mamma incominciava da Gennaio, e quando arrivava a Dicembre già si era dimenticata il perché stava rimproverando la bambina.
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In un’altra storia, ora già lontana, Dicembre conobbe un gufo e divenne sua amica. Quella volta risolse la sfida del flauto storto e non ricordo più quali altri guai combinò.
Bene, e ora vi racconto…

LA STORIA DI DICEMBRE E DEL LIBRO SENZA MANI.
Un pomeriggio, quasi notte, come questo di oggi che annuncia poggia di luci, Dicembre se ne andava gironzolando. Forse non stava pensando a niente, solo camminava raccogliendo sassolini e rametti, e appendeva i sassolini a un albero e ammucchiava i rametti a un lato del cammino, e gli dava dei nomi: questo era un “albero di sassi” e quella era una “montagna di rami”. In pratica, come si dice, a Dicembre non piaceva solo ribaltare i suoi pensieri, ma ribaltava anche il mondo. In più, aveva alcune matite colorate, a sapere chi gliele aveva regalate; così che, quando non stava appendendo sassi e ammucchiando rami, Dicembre tirava fuori le matite dalla sua borsettina e si metteva a colorare quello che gli passava per le mani.
Bene, così pare che se ne andava la Dicembre, canticchiando una canzone a ritmo corrido-cumbia-ranchero-norteno, quando zac!, proprio lì, in mezzo al cammino, si imbattè in un libro. Che contenta era Dicembre! Tirò fuori i suoi colori ed era proprio convinta di afferrare il libro per riempirlo di segnacci, di pallini e di stanghette, e perfino di uno scarabocchio, che si suppone dovesse essere il ritratto sputato della Panfililla, così si chiamava una sua cagnolina che, a dire il vero, era nettamente “mula” (senza offesa per le presenti).
Già la Dicembre si avvicinava al libro che stava in mezzo al cammino, già si immaginava che la Giunta di Buon Governo le dava il permesso di dipingere un suo murales sulla parete della scuola autonoma, già si vedeva chiedere ad una signora “società civile” che le scattasse una foto insieme alla Panfililla, in piedi di fronte al murales, e già pensava che se per caso la Panfililla non assomigliava al dipinto del murales, beh, in quattro e quattr’otto avrebbe dipinto le correzioni. Non sulla parete della scuola, ma sul corpo della Panfililla, ovviamente.
Tutto questo stava pensando la Dicembre, quando, avvicinandosi al libro per prenderlo in mano, zac!, il libro aprì le pagine e si mise a volare. “Maiala!”, disse Dicembre con un tono che non lasciava dubbi sulla sua origine plebea, “questo libro vola!”. Il libro volteggiò alcuni metri e si posò un po’ più avanti, in mezzo al cammino.
Dicembre corse verso di lui per afferrarlo, però prima di raggiungerlo, lui volò via un’altra volta. Allora Dicembre pensò che il libro voleva giocare e lei pure. E così giocava la bambina, inseguendo da una parte all’altra il libro volante, e intanto la Panfililla già si era mangiata una mezza dozzina di sassi e due dozzine di rametti, e si era buttata per terra, a digerire, e muoveva solo le orecchie da un lato o dall’altro, a seconda di come correva la Dicembre dietro al libro.
Continuarono così per un bel po’, però poi arrivò il momento in cui Dicembre si stancò e si buttò a terra sfinita accanto alla Panfililla.
“E ora che facciamo Panfililla?” domandò Dicembre. E la Panfililla non fece altro che muovere un orecchio, perché ancora stava cercando di digerire un sasso di ambra e non poteva abbaiare.
“Già lo so, mi è venuta un’idea” disse la Dicembre “vado a trovare il signor Gufo e glielo domando”.
La Panfililla mosse le orecchie come a dire “va bene, io ti aspetto qui”, vedendo che le mancava da mangiare ancora la metà della montagnetta di rametti.
Così, Dicembre andò a trovare il suo amico Gufo. Lo trovò seduto in cima al suo albero, che guardava una rivista con ragazze nude.
Qui il Gufo interrompe il racconto e precisa al rispettabile pubblico:
“Non credete a quello che dice il Sub, non era una rivista di ragazze nude, era un catalogo di moda di indumenti intimi, di Victoria Secrets per essere precisi. Non è la stessa cosa”.
E va bene…allora il Gufo stava guardando una rivista di ragazze semi-nude quando arrivò Dicembre e così, su due piedi e senza preamboli, gli chiese: “Senti Gufo, perché ci sono libri che voleno?”.
“Si dice “volano”, non “voleno”, corresse il signor Gufo, e aggiunse: “E poi no, i libri non volano. I libri stanno nelle librerie, nelle biblioteche, sulle scrivanie degli scienziati e, quando non li compra nessuno, sui tavoli fuori dalle conferenze”.
“Ce n’è uno che vola”, gli rispose Dicembre, e subito gli raccontò quello che le era successo prima con il libro volante. Il signor Gufo chiuse il suo catalogo di ragazze in panni striminziti, chiaro, non prima di aver segnato la pagina sulla quale era rimasto, e disse con tono deciso: “Molto bene, andiamo a investigare, aspettami solo un pochino perché mi devo mettere dei vestiti adeguati”. “Bene” disse Dicembre, e mentre aspettava il signor Gufo, si mise ad appendere ai rami degli alberi alcuni sassolini che era riuscita a riscattare dalla gola della Panfililla.
Il signor Gufo, intanto, aprì un gigantesco baule e incominciò a cercare, mormorando: “Mh…frustino, no…giarrettiera, neanche…sottoveste, ancora meno…mh…eccolo!” esclamò improvvisamente il signor Gufo e tirò fuori un passamontagna nero. Se lo mise e, prendendo una pipa, si diresse verso Dicembre e le domandò: “Allora, che ti sembra del mio travestimento?”. Dicembre lo guardò perplessa e dopo un po’ disse: “E da cosa sei travestito?”.
“Come da cosa? Da subcomandante! Se questo libro mi vede come Gufo, non lascerà che mi avvicini, perché noi gufi amiamo molto i libri, al contrario i subcomandanti non li usano neanche per spianare le gambe dei tavoli”.
Qui il Sub interrompe il racconto per chiarire al rispettabile pubblico: “Non credete al signor Gufo, noi subcomandanti sì che li usiamo i libri, a volte, quando la legna non prende…”
Ehm, ehm…bene, vi dicevo che la Dicembre e il signor Gufo mascherato da subcomandante scesero dall’albero e si diressero dove la bambina aveva lasciato la Panfililla ad aspettare. Quando arrivarono dove stava la cagnolina, la trovarono che cercava, simultaneamente, di masticare la metà di una pantofola e di digerire l’altra metà.
“Le mie pantofole!” esclamò scandalizzato il signor Gufo e incominciò a lottare con la Panfililla cercando di strapparle la metà della pantofola che, tra l’altro, era la metà davanti, e che quindi poteva ancora passare come pantofola in versione minimalista.
Dicembre lo aiutò e disse qualcosa all’orecchio della Panfililla, cosicché lei immediatamente lasciò la metà della pantofola del signor Gufo. Uff! sospirò sollevato il signor Gufo e, mentre passava in rassegna i danni, domandò a Dicembre: “Cosa le hai detto per farla mollare?”. E Dicembre rispose senza batter ciglio: “Che le darò la metà dell’altra pantofola”. “Cosa??”, gridò il signor Gufo “le mie pantofole, il mio buon nome, il mio prestigio, il mio status intellettuale!”. E mentre diceva questo, zac!, Dicembre trovò il libro volante vicino a loro. “Ecco dov’è!” gridò Dicembre al signor Gufo.
Il signor Gufo si accomodò alla meglio il passamontagna, accese la pipa e disse a Dicembre: “Tu aspettami qui, vado a investigare”.
Il signor Gufo arrivò fino a dove stava il libro volante, che non lo riconobbe a causa del suo travestimento da subcomandante. Come è risaputo, i libri raccontano ai subcomandanti perfino ciò che non è scritto, così che parlarono a lungo. Dicembre già si stava addormentando, quando il signor Gufo ritornò e le disse: “Basta, il mistero è risolto”. “Cosa è successo?” domandò Dicembre sbadigliando. “Elementare, mia cara Dicembre. Si tratta semplicemente di un caso estremo di ‘libro senza mani’” disse il signor Gufo. “Libro senza mani? E che cos’è?” domandò Dicembre. “Beh, è un libro che non vuole stare su uno scaffale di una libreria o di una biblioteca, o su una scrivania, o buttato in un angolo, o sotto la gamba di un tavolo. E’ un libro che vuole stare nelle mani di qualcuno. Che lo legga, che lo scriva, che lo colori, che gli voglia bene, insomma” spiegò il signor Gufo. “Sono io” disse Dicembre allegramente. “Sei sicura? Un libro non è una cosa qualsiasi, non è come un dinosauro mangiapantofole” disse il signor Gufo mentre guardava con rancore la Panfililla che già stava mordicchiando la pipa del travestimento da Sub del signor Gufo. “Non è un dinosauro, è una dinosaura, e sì, sono sicura” rispose decisa la Dicembre. “Bene, prova a vedere se riesci a convincerlo” disse il signor Gufo mentre cercava di strappare la pipa alla Panfililla. “E come faccio?” domandò Dicembre. “E’ molto semplice, avvicinati, però non troppo e allunga le tue manine. Se ti accetta, allora verrà verso di te” le indicò il signor Gufo. “Va bene” disse la Panfililla, pardon, la Dicembre.
Si pulì le mani sulla tunica, perché si ricordò che non se le era lavate, si avvicinò piano piano al libro volante e, quando pensò di essere abbastanza vicina perché il libro la vedesse senza spaventarsi, allungò le sue due manine. Il libro aprì allora le sue pagine, come per mettersi a volare, però esitò. Allora Dicembre allungò ancora le sue manine e disse: “Vieni, vieni, vieni”. Fu così che il libro cominciò a volare, però invece di allontanarsi si posò tra le mani di Dicembre. La bambina fu molto contenta e si strinse il libro al petto, tanto che quello fece una scoreggina: prrrr…
Il signor Gufo applaudì soddisfatto e la Panfililla non abbaiò, però fece un rutto all’aroma di pantofola mal digerita. Allora il signor Gufo se ne tornò a guardare le ragazze…pardon, a leggere e studiare molto. Dicembre si mise a colorare il libro con le sue matite e non vissero molto felici perché, in un momento di distrazione, la Panfililla si mangiò la copertina, l’indice, le note e sette piè di pagina. Tan tan.

Moraletta: non lasciare niente a portata delle cagnoline perché possono essere dinosaure travestite.
E ora. Spero che Daniel Viglietti vi faccia dimenticare in un attimo questo discorso così poco serio, e che le bambine lo ricordino…non per poco ma per sempre.

Grazie. Subcomandante Insurgente Marcos
San Cristòbal de Las Casas, Chiapas, Mexico.

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