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La mia scomoda verità
Lettera aperta di Medha Patkar alla città di Torino
Care amiche e cari amici, gentili cittadine e cittadini, onorevoli imprenditori e autorità,v
Cinque anni fa, in questo stesso periodo dell’anno, una delegazione del Narmada Bachao Andolan, (il Movimento di Resistenza contro il mega progetto di dighe sul fiume Narmada) veniva ricevuto con grande onore dalla vostra ospitale città. Tra essi, la scrittrice Arundhati Roy insieme a vari attivisti e film makers che nel corso degli anni hanno seguito e documentato questa straordinaria esperienza di resistenza. In quel momento ero molto impegnata, come ogni anno subito dopo i monsoni, con le sommersioni che vedevano in pericolo un gran numero di villaggi nelle aree vicine alla diga - e non mi fu possibile essere con loro. Ma l’eco della solidarietà e del sostegno che avete avuto modo di esprimere alla nostra lotta, è arrivato fino in India.
Cinque anni dopo, la diga Sardar Sarovar ha raggiunto quota 122 metri. E poiché non c’è terra disponibile per mantenere l’impossibile promessa della “nuova terra in cambio della terra requisita” i lavori si sono interrotti (grazie al cielo) di nuovo. Ma la gente non ha smesso di lottare per costringere il governo a cancellare una volta per tutte il progetto. Alla data attuale, non meno di 200 mila persone potrebbero essere
dichiarato il progetto “NON negoziabile” in considerazione degli“impegni” già presi e firmati con numerosi Investitori Esteri, soprattutto con l’Italia.
La lotta è continuata per tutti questi mesi: non meno di mille famiglie, in parte piccoli proprietari, la maggior parte bargadars (cioè mezzadri, semplici lavoranti) che da generazioni dipendono dalla coltivazione di queste terre e che non si arrendono all’idea di perdere insieme ad esse l’unica fonte di sostentamento. Quanto agli stabilimenti TATA Motors: avrebbero potuto essere destinati a terre NON agricole, evitando la distruzione di una prospera economia e delle comunità che da essa dipendevano. Ma la speculazione finanziaria e immobiliare non sarebbe stata altrettanto rapida e profittevole.
E’ questo il motore che spinge tanti casi di requisizione territoriale (e sfollamenti ambientali) nell’India di oggi. Su questo infuria il dibattito che divide il mio paese circa la sempre più stretta collusione tra il cosiddetto Corporate Sector e la Politica. Di questo vorrei foste informati. Le stragi che si sono poi verificate a Nandigram (nel marzo scorso, durante gli scontri scoppiati in opposizione a un grosso progetto di insediamento petrolchimico a beneficio dell’indonesiana Salim) hanno finalmente bloccato, almeno per un po’, qualsiasi progetto di SEZ (Special Economic Zone) in Bengala. Ma non a Singur, che non è mai stata neppure dichiarata SEZ. Singur è semplicemente passata di mano, ridotta a feudo della famiglia TATA, a ingranaggio propulsore tra gli altri dell’alleanza TATA-FIAT.
E questo è il motivo che mi spinge a scrivervi questa lettera, oggi. Negli stessi mesi in cui noi si viveva questo sanguinoso conflitto sociale, il vostro paese spediva in India la più impressionante delegazione commerciale che mai si sia vista in 60 anni di storia post-coloniale: non meno di 450 tra uomini d’affari, banchieri, managers, delegati a vario titolo, giornalisti, accademici e naturalmente politici ai massimi livelli, hanno in pochi giorni toccato le nostre maggiori capitali con l’obiettivo di raddoppiare il volume delle transazione tra Italia e India nel più breve tempo possibile. “Le condizioni di ingresso sono favorevolissime, considerato il modesto costo dei terreni e le attraenti esenzioni fiscali” ha euforicamente dichiarato un rappresentante della vostra Confindustria al quotidiano indiano “Financial Express”.
Particolarmente triste è stato assistere al totale silenzio della vostra stampa e della FIAT, su più fronti impegnata con TATA Motors e “partner” a tutto campo, sia tecnologico sia di know how, anche sul fronte della commercializzazione su mercati terzi e quindi dei profitti “globali” su questo progetto di “low cost car”.
Noi, popoli e movimenti indiani, ci opponiamo a questo stile neo-coloniale di “partenariato” e ci domandiamo come possa succedere che una nazione così civilizzata e ricca di cultura come l’Italia possa associarsi a un simile e sistematico furto di terre, violento e brutale, contrario a qualsiasi nozione di Diritto Umano, e in totale contrasto con qualsiasi nozione di sostenibilità e di rispetto per l’ambiente. Ci chiediamo anche come possa essere successo che coloro che erano al corrente della situazione (i vostri diplomatici in India, i vari Funzionari e Ministri che hanno preparato la Missione Prodi in India) possano essere rimasti così indifferenti alle notizie degli scontri, benché fossero sotto gli occhi di tutti.
Mi dicono che la città di Torino, e proprio negli ex impianti industriali del Lingotto, ha ospitato esattamente un anno fa (ed ospiterà di nuovo il prossimo anno) la più grande e magnifica celebrazione dei valori economici e culturali di “Terra Madre”. E non posso fare a meno di pensare che, forse, anche una piccola delegazione dalle campagne di Singur avrebbe potuto essere tra i vostri ospiti della prossima edizione, se quei 400 ettari di terra fertile e amorosamente coltivati non fossero stati distrutti con tutti i loro frutti. Mai più lo sviluppo industriale riuscirà a imporsi nel nostro paese a spese dello sviluppo agricolo raggiunto dai nostri contadini nell’arco di anni di costante sforzo! Come può un Governo italiano che si definisce di Centro-Sinistra, ritenersi “Partner” di un simile progetto di distruzione, di una simile “produzione” (invece che diminuzione) di povertà? E’ questo il “partneriato economico” che l’Europa, l’Italia, il vostro On. Primo Ministro Romano Prodi hanno in mente?
Mi appello a voi e al vostro Parlamento affinché il conflitto sociale esploso nelle aree di Singur riceva d’ora in poi la massima considerazione, a maggior ragione dopo che la stessa Alta Corte di Kolkata ha recentemente rilevato l’illegalità di quelle requisizioni; nonché le condizioni di assoluta convenienza offerte a TATA Motors, a fronte delle perdite sofferte da un’intera collettività. A nome di tutti coloro che stanno soffrendo per l’iniquità di quelle requisizioni, mi auguro di udire almeno UNA voce di protesta, proveniente dall’Italia, contro questa volgare ingiustizia che si sta perpetuando a spese del nostro settore agricolo e delle comunità rurali, in Bengala occidentale e altrove.
Torino, 22 ottobre 2007