Domenica 7 giugno si svolgono le elezioni in Turchia. Il governo di Erdogan è nervoso, c’è un nuovo attore nella scena politica. Si tratta del partito pro-curdo Hdp (Partito democratico dei popoli), che tenterà di superare lo sbarramento elettorale del 10%.
La formazione guidata da Selahattin Dermitas rappresenta la vera incognita delle elezioni e, come si è visto con gli attacchi che sono avvenuti durante tutta la campagna elettorale, fino all’ultimo attacco a Diyarbakir, con una duplice esplosione che ha fatto almeno quattro morti, non si esita ad attaccarla in ogni modo.
Il governo turco continua a attaccare i giornalisti democratici ma le intimidazioni non fermano chi vuole dire verità scomode come racconta l’articolo di Giuseppe Acconcia nel Manifesto."Il quotidiano Cumhuriyet, il cui direttore rischia l’ergastolo per lo scoop pre-elettorale sulla fornitura di armi ai ribelli anti-Assad in Siria, che ha rincarato la dose. Aveva rivelato pochi giorni fa che agenti dei servizi segreti turchi (Mit) hanno scortato in Siria miliziani jihadisti"
La posta in gioco è alta e per questo è stato lanciato l’appello alla presenza di osservatori internazionali anche dall’Italia,
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Elezioni parlamentari in Turchia: Erdogan tra speranze e timori di Roberto Prinzi
tratto da Nena News
Il presidente – alla guida della Turchia con il suo partito dal 2002 – vuole conquistare almeno 330 seggi (su 550) alle elezioni di domani in modo da cambiare la costituzione del Paese. A sbarrargli la strada sarà il partito di sinistra pro-curdo?
Roma, 6 giugno 2015, Nena News – Le parlamentari di domani in Turchia sono di estrema importanza per il Paese e forse, vista l’importanza geopolitica di Ankara, per l’intera regione mediorientale. Ad ogni modo, qualunque sarà il risultato definitivo che avremo domani notte, possiamo affermare già da ora che il futuro che attende Ankara è colmo di incertezze. La Turchia è ad un importante bivio. Ciò che gli elettori veramente voteranno alle urne è se accontentare le richieste del presidente Erdogan che spinge per un sistema presidenziale “sul modello Putin” (secondo la definizione dei commentatori locali) o se assestare un colpo significativo al potere del suo partito (l’Akp) proteggendo l’attuale costituzione. Quest’ultimo risultato potrebbe arrestare in modo significativo (ci sembra esagerato, come fanno alcuni analisti, il termine definitivo) le ambizioni del presidente stabilmente alla guida del Paese da 13 anni.
Il suo principale avversario in queste elezioni potrebbe essere proprio il partito di sinistra vicino alle istanze dei curdi: l’Hdp, il partito del popolo democratico guidato da Selahattin Dermitas. Negli ultimi giorni, il dibattito politico si è concentrato principalmente su queste due domande: ce la farà l’Hdp a superare la soglia elettorale del 10% levando in questo modo voti (e quindi fondamentali seggi) al partito di governo di Giustizia e Sviluppo (Akp)? E se ciò non dovesse verificarsi, l’Akp sarà in grado di portare nella Grande Assemblea (il parlamento) almeno 330 suoi candidati in modo da cambiare la costituzione? E’ su questo sottilissimo filo che si giocano le parlamentari turche. E’ questo l’elemento chiave per capire se ci sarà una svolta (in un modo o nell’altro) all’interno del Paese.
E se il “nemico” principale di Erdogan non è il principale partito di opposizione (il partito popolare repubblicano Chp), ma l’Hdp, non bisogna allora meravigliarsi se, soprattutto negli ultimi giorni, la violenta retorica dell’Akp e del suo leader presidente si sia rivolta principalmente contro la sinistra. Più la minaccia elettorale di quest’ultima aumentava, più le invettive degli islamisti contro l’Hdp si sono fatte incendiarie. Non si vogliono sminuire affatto le filippiche presidenziali contro il Chp, né contro lo “stato parallelo” rappresentato dal predicatore Gulen. Ma Erdogan e il suo uomo fidato al governo (il premier Davutoglu) sanno bene che la costruzione del “nemico”, in un Paese dove l’Akp gode di una netta maggioranza e appare inattaccabile, serve solo a compattare le file dei suoi sostenitori, a mostrare i muscoli e unità ai suoi rivali, nascondendo l’endemica corruzione dei vertici statali, distogliendo il suo elettorato dalla non più rosea situazione economica.
Il presidente “sultano” è conscio che non può temere nulla da una opposizione debole i cui recenti sondaggi la danno sotto di almeno 16 punti (nel caso del Chp) e addirittura di 30 dai nazionalisti del Mhp. Dunque se questi non possono essere rivali credibili , l’obiettivo deve essere necessariamente rappresentato dai curdi. Non per motivi etnici (molti curdi hanno votato nel 2011 per l’Akp e per Erdogan alle presidenziali di agosto), ma per meri calcoli elettorali. L’Hdp è il principale antagonista dell’Akp nelle regioni sud-est del Paese (il fortino dei curdi). Ma non solo. Se il Partito democratico del popolo non dovesse farcela a superare l’alta soglia parlamentare fissata al 10%, per il sistema elettorale turco i suoi voti verrebbero divisi alle formazioni politiche che riusciranno ad entrare in parlamento. A tutto vantaggio della forza governativa che, soprattutto nelle aree del sud est, farebbe incetta di voti. Voti uguale seggi. Più deputati nella Grande Assemblea vuol dire maggiori possibilità per Erdogan di realizzare il suo sogno: governare da solo con una maggioranza tale che potrà permettersi di cambiare la costituzione del Paese garantendosi maggiori poteri come presidente (attualmente la sua carica ha più un valore cerimoniale).
Le bordate degli islamisti contro la sinistra sono state all’ordine del giorno nell’ultimo periodo. Intervenendo il 27 maggio ad un raduno del suo partito nella provincia di Batman, il primo ministro Davutoglu ha espresso con disprezzo la sua ostilità contro l’Hdp. “Chi lo appoggia? – ha domandato ironicamente ai suoi sostenitori – Il partito comunista francese, quelli che denigrano i cittadini normali in questo Paese, i laici, il movimento di Gulen e la diaspora in Francia. Come può mai un turco, un curdo un arabo trarre beneficio da questi che fanno amicizia con la diaspora armena?” si è infine chiesto il premier. L’Hdp è stato anche attaccato violentemente dagli islamisti al governo per i suoi candidati provenienti da differenti background etnici, politici e sessuali (nelle sue liste vi è un esponente omosessuale). Proprio il tema della diversità è stato uno dei cavalli di battaglia della sinistra che, con l’intelligente guida di Dermitas, ha provato ad allagare il suo bacino elettorale ad altre realtà della società turca ribadendo come nel partito tutte le voci (dal pio musulmano al progressista) possono convivere insieme pacificamente.
Inoltre, non bisogna dimenticare che proprio l’Hdp è stato il partito che maggiormente ha subito sanguinosi attentati in questi mesi di campagna elettorale. Quanto accaduto ieri sera a Diyarbakir (almeno 4 morti) è stato solo un triste promemoria a poche ore dal voto. L’Akp ha sempre condannato questi attacchi e ha subito promesso di aprire delle inchieste “per assicurare alla giustizia i criminali”. Al momento non è possibile sostenere alcuna sua diretta partecipazione alle stragi né tanto meno alle numerosi aggressioni subite da membri del Chp. Resta da chiedersi però se, considerato il clima politico di forte contrapposizione presente nel Paese, l’utilizzo di un linguaggio pieno d’odio di Ankara nei confronti del “nemico” non sia, oltre che inaccettabile, causa indiretta delle violenze. Pagheranno alle urne le invettive, le polemiche costanti ricercate dagli islamisti?
Saranno gli elettori a stabilirlo domani. Gli ultimi sondaggi non sorridono a Erdogan (ma mai fidarsi delle previsioni pre-elettorali come sanno bene gli israeliani). Secondo la compagnia sondaggistica Konda, tra le maggiori nel settore, l’Akp otterrebbe il 41% dei voti, il Chp il 27,8%, i nazionalisti del Mhp il 14,8% e la sinistra con l’Hdp il 12,6%. Konda sostiene che il partito di governo dovrebbe guadagnare 270 seggi (su 550) e ciò, in soldoni, vorrebbe dire che l’attuale premier Davotoglu disporrebbe solo di una leggera maggioranza che non gli permetterebbe di governare il Paese come vorrebbe. Simili risultati sono stati previsti anche dall’A&G, altra società che gode di una buona reputazione nelle previsioni elettorali. L’elemento politico che emerge da queste ricerche è che il partito pro-curdo riuscirebbe ad attirare nelle sue file al di là della sinistra turca, anche i curdi religiosi conservatori che avevano votato per l’Akp nel 2002, 2007 e 2011 e i liberali disillusi dalle politiche dei kemalisti del Chp e degli islamisti.
Se un tale scenario si dovesse verificare si potrebbe incominciare a parlare di un tramonto dell’era Erdogan. Se l’Akp non dovesse essere in grado di ottenere la maggioranza assoluta potrebbero formarsi diversi scenari di coalizione. Il più probabile allo stato attuale è quello Akp-Mhp anche se potrebbe non avere lunga vita considerate le divergenze in campo economico che hanno le due formazioni. Inoltre, problema non minore, sorgerebbero difficoltà riguardo la questione della pacificazione con i curdi del Pkk: iniziata (timidamente) da Erdogan sul finire del 2012 è osteggiata dai nazionalisti che considerano Ocalan e i suoi sostenitori dei “terroristi”.
Nel caso in cui nessuna forza dovesse riuscire a formare un governo nei 45 giorni post elezioni, il Paese sarebbe chiamato di nuovo alla consultazione popolare. Erdogan potrebbe iniziare una campagna elettorale incentrata su stabilità economica e sociale provando a stemperare i toni. Il suo partito riuscirebbe in questo modo a mantenere la leadership della Turchia. Ma a un prezzo salatissimo: Erdogan rischierebbe di non vedere realizzate le sue ambizioni politiche volte a cambiate la costituzione del Paese.
Se l’Hdp non dovesse farcela a superare la soglia del 10%, le possibilità che l’Akp raggiunga la maggioranza di tre quinti (cioè più di 330 seggi) sarebbero alte e quindi, in tale scenario, il presidente riuscirebbe ad ottenere il referendum costituzionale desiderato. In un contesto politico del genere, però, ci sarebbe il rischio che il movimento curdo – senza alcuna rappresentanza parlamentare – potrebbe dare vita ad una agenda politica autonoma soprattutto nelle regioni del sud est. Il pericolo, denunciato da Dermitas, sarebbe una prevedibile radicalizzazione dei curdi che potrebbe portare ad un violento scontro con Ankara. Uno scenario che in questo momento nessuno si augura in Turchia considerati i problemi economici che ha il Paese (una crescita economica ormai lenta) e l’instabilità dell’intera area mediorientale (a cui hanno contribuito le scellerate politiche dell’Akp soprattutto per quanto riguarda la guerra civile siriana).
Il risultato che potrebbe uscire fuori dalle urne è molto importante, ma è difficile da prevedere. Tuttavia, una cosa appare certa: il fatto che la sinistra pro-curda si presenti all’interno di una unica compagine è già di per sé un dato da rimarcare. Comunque vada. Nena News
Turchia le elezioni imprevedibili di Fazila Mat
Tratto da Uiki
Dopo 14 anni di potere il partito di maggioranza AKP sembra più stanco e logoro dell’opposizione, tanto da non essere più sicuro di ottenere – alle politiche di domenica 7 giugno – la maggioranza assoluta. Intanto nel mirino del presidente Tayyip Erdoğan finiscono i giornalisti
Quelle del 7 giugno saranno le elezioni politiche più critiche e imprevedibili dell’ultimo decennio in Turchia. La posta in gioco è alta: l’AKP, il Partito della giustizia e dello sviluppo che guida il paese da 14 anni, questa volta potrebbe non ottenere la maggioranza assoluta (276 seggi su 550) per una quarta legislatura monocolore. E’ a rischio inoltre l’intenzione del capo di Stato Tayyip Erdoğan di trasformare l’attuale ordinamento parlamentare in un sistema “presidenziale alla turca”, con una pericolosa concentrazione dei poteri nelle mani del super-presidente. A far saltare il tavolo potrebbe essere il quarto partito del paese, il pro-curdo Hdp (Partito democratico dei popoli), che tenterà di superare lo sbarramento elettorale del 10%. Un’eventualità che potrebbe sottrarre all’AKP come minimo 50 seggi parlamentari.
Slogan e fact-checking
“Noi in parlamento “ e “Non ti faremo diventare presidente” sono infatti gli slogan principali del partito guidato dai co-leader curdi Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ. Perché nella campagna elettorale più accesa degli ultimi anni è anche a suon di slogan e pubblicità che si stanno scontrando le parti.
“Loro parlano, l’AKP mette in atto”, ribattono i cartelloni dell’AKP che tappezzano le strade principali del paese, con il volto ridente del premier Ahmet Davutoğlu. Qualche esempio in tal senso – reclamizzato negli stessi striscioni pubblicitari – sono “l’aereo”, “l’automobile” e “il carro armato” che verrebbero prodotti per la prima volta a livello nazionale. Una novità quest’ultima per molti. Anche per l’opposizione, che ha chiesto con un’interrogazione parlamentare dove fossero collocate le fabbriche delle produzioni in questione, senza però ottenere risposta e aprendo la pista all’ipotesi di una clamorosa bufala elettorale. Secondo l’organizzazione “Doğruluk Payı” (dogrulukpayi.com), un gruppo che effettua il fact-checking riguardo alle affermazioni delle formazioni politiche, l’AKP ha effettivamente “messo in atto” solo il 30% delle promesse elettorali del 2011.
Non si può però negare che il governo dell’AKP sia stato efficiente in alcuni campi, motivo per cui nonostante il calo di preferenze (gli ultimi sondaggi lo indicano tra il 40 e il 44% contro il 49,9% delle politiche del 2011) risulta ancora il primo partito del paese. Per molti elettori con un reddito basso gli aiuti sociali ricevuti dal governo risultano un valido motivo per votare AKP. Perché se il reddito minimo previsto dalla legge è di 949 lire turche (circa 310 euro), c’è da aggiungere che il ministero per le Politiche sociali sostiene da anni in modo continuativo circa 13 milioni di cittadini con una cifra che per il 2015 ammonta a quasi 30 miliardi di lire turche (circa 10 miliardi di euro).
Non a caso l’economia è il tema maggiormente dibattuto nel periodo pre-elettorale e ha portato i partiti dell’opposizione a rivedere il proprio approccio alla questione, adottando strategie innovative. Indicativo è il caso del Partito repubblicano del popolo (CHP, kemalista orientato a sinistra) che ha impostato il proprio discorso elettorale su nuove soluzioni economiche, dal raddoppiamento del salario minimo al mega progetto di rilancio economico dell’Anatolia. Il partito avrebbe addirittura incaricato la statunitense Benenson Strategy Group – la società che ha fatto vincere le elezioni a Barack Obama – di organizzare la propria campagna elettorale.
Erdoğan all’attacco
A due giorni dal voto sta per concludersi anche la campagna elettorale a due voci dell’AKP, con quella di Erdoğan che sovrasta ampiamente quella del primo ministro Davutoğlu. Il presidente, contrariamente a quanto previsto dalla Costituzione, che gli conferisce uno status essenzialmente rappresentativo, ha infatti utilizzato ogni occasione per tessere le lodi al AKP ed attaccare l’opposizione.
Il Consiglio superiore elettorale (YSK), chiamato a intervenire più volte dall’opposizione, ha risposto di non avere l’autorità di richiamare all’ordine il capo dello Stato. “Io sono imparziale” afferma intanto Erdoğan, “sono dalla parte del popolo”, per poi accusare tutte le formazioni rivali di tramare contro il bene della nazione: l’HDP sarebbe “l’avamposto del gruppo terrorista” PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), il CHP sarebbe “nemico della religione” e “zoroastrano” nonché “alleato del movimento religioso di Fethullah Gülen” (un tempo fedele alleato di Erdoğan, ora suo acerrimo nemico). E perfino il Partito di azione nazionalista (MHP) è accusato di non essere sufficientemente nazionalista.
Media nel mirino
Ma gli attacchi di Erdoğan non sono rivolti solo ai politici, ma anche – in crescendo – alla stampa indipendente. Nelle ultime settimane sono finite nel mirino del presidente il gruppo Doğan (cui fanno capo diversi giornali tra cui Hürriyet e la rete televisiva CNNTürk) e il quotidiano Cumhuriyet.
Quest’ultimo in particolare ha attirato tutti i fulmini su di sé per aver recentemente pubblicato un servizio e delle immagini che comproverebbero l’invio di armi ai jihadisti in Siria da parte di Ankara. Il governo nega, affermando che il carico “di tipo umanitario” era diretto alle popolazioni turkmene (che negano a loro volta di essere i destinatari di un simile invio). “Ma anche se [le armi] ci fossero state”, ha dichiarato Erdoğan rivolgendosi ai giornalisti di Cumhuriyet, “voi siete talmente privi di etica giornalistica che vi mettete a collaborare con i gülenisti [il movimento di Fethullah Gülen] sbandierando al mondo un’operazione condotta dai nostri servizi segreti. Questo è spionaggio e verrà trattato di conseguenza”.
Il direttore della testata Can Dündar è ora sotto inchiesta e la procura ha presentato un testo d’accusa richiedendo l’ergastolo per il giornalista, un rischio che corre tutto lo staff del quotidiano, che ha dichiarato di condividere la responsabilità della notizia.
Mentre la società civile si mobilita per dimostrare il proprio sostegno alla testata, restano in sospeso le domande che il quotidiano ha rivolto al presidente e che mettono in luce tutte le ambiguità del caso. Prima fra tutte, perché mai degli aiuti umanitari fossero scortati dai servizi segreti.
La sete di potere dell’AKP
“Se l’AKP uscirà forte da queste elezioni avvierà un’operazione di purga. Non verrà risparmiato nessuno, dai partiti alle organizzazioni della società civile fino ai media dell’opposizione. Tutte le sue forze sono coordinate in questa direzione e non si tratta di un pettegolezzo”, ha commentato il co-leader dell’HDP Demirtaş. “Sarebbe una catastrofe per il paese. Dalla Corte costituzionale al parlamento non c’è più alcuna istituzione in grado di controllare il presidente. È per questo che perfino dentro l’AKP alcuni dirigenti sperano che l’HDP superi lo sbarramento. Perché sono spaventati da quello che potrebbe accadere in caso contrario. Conoscono bene il loro capo”.
Dopo 14 anni di governo e con tutta la retorica della “Nuova Turchia” l’AKP appare tuttavia un partito stanco a confronto con le formazioni dell’opposizione, e le crepe si vedono anche all’interno dello stesso AKP. La lingua della moderazione e del pluralismo che lo caratterizzava nei primi anni di potere e che gli aveva guadagnato il favore dei più ha ormai lasciato spazio ad un linguaggio aggressivo che non risulta offrire niente di nuovo. Sempre più si parla di un AKP “avvelenato dal potere”, anche tra i suoi stesso sostenitori.