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Il giorno 24 maggio doveva essere la data della pubblicazione sulla gazzetta ufficiale del decreto di tenuta delle elezioni nella data del 24 luglio, come dichiarato dal Presidente della Repubblica il 3 marzo in occasione della nomina del governo di Caied Sebsi.
Le speculazioni intorno a questa data era stato il maggiore motivo di sospetto tra le forze politiche ed il governo. In particolare il Nahdha (islamista) e il PDP (sinistra moderata) temevono che qualcuno manovrasse per lo slittamento delle elezioni a dopo l’estate. E’ inutile dire che i partiti piu’ piccoli, compreso il Partito comunista, si erano dichiarati invece per uno spostamento ad ottobre.
Appena nominata, la commissione elettore, per bocca del suo presidente, Kamel Jendoubi, dichiara che é impossibile attenersi alla data fissata dal governo per oggettive difficoltà tecniche: gli standard elettorali prevedono 22 settimane di preparazione per lo svolgimento di elezioni regolari e trasparenti, mentre ne mancano alla data attuale soltanto 8.
La temuta tensione ed il riverbero di violenza per le piazze del paese, però, non c’é stato. Benché il 70% circa della popolazione si é espressa, in un sondaggio, a favore del mantenimento della data pattuita, non accadono a Tunisi manifestazioni o degenarazioni violente. Certo il governo ha fatto di tutto perché ciò non accadesse. Con un comunicato il ministero degli Interni ha fatto sapere che saranno impediti ogni genere di assembramento senza previa autorizzazione. Ci sarà qualche tentativo in Av. Bourghiba subito soffocato sul nascere.
La conferenza stampa del primo ministro, confermando l’attaccamento del governo alla data del 24 luglio, stempera la tensione. Tuttavia la commissione elettorale rivendica l’autonomia delle scelte e, riunendo tutti i partiti, spiega nel dettaglio le ragioni tecniche che renderebbero ragionevole un tale rinvio.
Il caldo sud
Ma la temperatura sale nelle regioni del centro e del sud. Contemporaneamente alle consultazioni politiche tra i partiti a Tunisi, si svolge una riunione straordinaria di ministri a Sidi Bouzid. Le intenzioni erano di proporre un piano di sviluppo per la regione, con alcuni investimenti di spessore. Ma il giorno dopo, la ribelle Regueb dichiara lo sciopero generale e tutti i locali della città, come se fossero una voce sola, rispondono all’appello. In migliaia scendono per le strade in segno di protesta contro le decisioni dei ministri che avrebbero emarginato, nelle loro scelte di sviluppo, proprio la loro provincia.
Per contaminazione, dopo qualche giorno si solleva anche la provincia semi desertica di Tataouine e, a sua volta, dichiara uno sciopero generale.
Va sottolineato che questa regione sta sopportando un carico enorme di tensioni dopo che si è aperto il fronte sud di Dehiba. Punto di frontiera tra Libia e Tunisia nelle settimane scorse é diventato teatro di scontro fra ribelli libici e lealisti. Avendo i rivoluzionari occupato il posto di frontiera, uomini armati sostenitori di Gheddafi hanno provato più volte lo sfondamento della frontiera per prenderli alle spalle. La tensione é stata altissima e l’esercito tunisino ha alzato la voce dichiarando che nessuna penetrazione territoriale sarà tollerata.
I duri scontri hanno portato dietro di sè una scia di nuovi profughi. Circa 47.000 libici sono stati accolti nella sola provincia di Tataouine di cui soltato una minima parte nei campi profughi.
Questa nuova emergenza ha avuto l’effetto di creare uno spostamento delle organizzazioni internazionali (ACNUR e OMI) verso i campi di Dehiba e Ramadi, lasciando pero’ scoperti quelli di Ras Jedir!
Per questo forse, mentre si gestiva l’emergenza da un lato, scoppiava la rivolta degli africani nel campo di Choucha. Causa un misterioso incendio, la rabbia degli ospiti forzati del campo é esplosa e l’indomani si sono riversati sulla strada che collega Ben Guardene alla frontiera, bloccando la circolazione. La tensione é rientrata, ma il bilancio delle giornate é pesante, ci sarebbero una decina di vittime. Da sottolineare che le nazionalità rimaste sono: eritree, sudanesi e somale e chiedono di ottenere lo status di rifugiati politici.
Ma Tataouine si é ribellata perché chiede lavoro. Sul suo territorio si trovano infatti compagnie petrolifere (tra cui l’italiana Eni) che, con la mediazione del governo, avevano promesso l’integrazione di circa 250 quadri presi dalla regione: gli impegni non sarebbero stati rispettati. La tensione é stata tale da indurre anche l’ambasciata italiana ad avvisare i propri connazionali ad evitare assolutamente la regione. Oltre allo sciopero generale, gli abitanti hanno bloccato l’accesso di tutte le strade provinciali che collegano la città al resto del paese. Migliaia di persone hanno sfilato davanti al governatorato.
Ironia della sorte, il governo ha reso noto i giorni successivi (28 maggio) un report nel quale si presenta la situazione economica sociale del paese sulla base della risistemazione dei dati statistici che venivano manipolati dal precedente regime: 700.000 disoccupati (di cui il 69 per cento sotto i 30 anni); 170.000 i disoccupati con un titolo universitario. Il tasso di povertà, sulla base dei criteri statistici internazionali che prevedono una soglia minima di due dollari a persona, é del 24,5%.